Mentre ci si prepara ad affrontare la fase 2, con la graduale riapertura delle attività produttive, inevitabilmente bisogna fare i conti anche con la crisi economica in cui si è scivolati con l'emergenza sanitaria del coronavirus. Una crisi economica senza precedenti, che ha colpito trasversalmente tutti i settori produttivi senza distinzione alcuna, con maggiori danni soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove il rischio di chiusura delle imprese - secondo i dati dello Svimez - sarebbe di quattro volte superiore alle ragioni del Nord: «Al Sud l'economia è talmente fragile - è l'amara considerazione - che potrebbe non riprendersi più». Difficile, dunque, immaginare sorti migliori in una delle provincie più povere d'Italia, quella vibonese, con un reddito pro capite medio che non supera i 13mila euro annui, e dove ancor di più sembra essersi sentito lo shock causato dal repentino arresto sia della domanda che dell'offerta.
La pensa così Rocco Colacchio, leader degli imprenditori locali, la cui associazione di categoria, Confindustria, si è data molto da fare per dare una mano alle aziende vibonesi, nella richiesta di accesso agli ammortizzatori sociali messi in campo dal governo con il decreto “Cura Italia”. In queste settimane, infatti, dall'edilizia alla metalmeccanica, passando per il settore dei servizi fino all'agroalimentare, la sola associazione degli industriali ha gestito le richieste di cassa integrazione e di integrazione salariale (Fis) di oltre 200 aziende, per più di mille lavoratori coinvolti. «La nostra provincia è stata la più colpita da questa crisi - è la convinzione del presidente Colacchio - per ragioni piuttosto evidenti: poche sono le grandi industrie, e molte le piccole medie imprese. E di queste, in tante ancora faticavano ad uscire dalla grande crisi del 2008. Come non bastasse, poi, il turismo, che per noi è il settore trainante che vale da solo il 30% del Pil del nostro territorio, si è bloccato senza alcuna prospettiva certa di ripresa: la stagione può definirsi ormai compromessa. Troppe, poi, le perdite di attività come ristoranti, negozi, e artigianato. Alcune non riapriranno più».
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