E' stato presentato al Ministero della Salute il progetto «Studio conoscitivo delle Reti di terapia del dolore», avviato nell'ambito dell’accordo di collaborazione stipulato nel dicembre 2017 tra il Ministero della Salute e l’Università della Calabria.
La ricerca ha avuto come obiettivo la realizzazione di uno studio epidemiologico di prevalenza della patologia del dolore cronico su scala nazionale e regionale e un’analisi dell’organizzazione clinico-gestionale della «Rete di Terapia del Dolore» nelle regioni, con particolare riferimento a quelle sottoposte a Piano di rientro.
L’analisi svolta ha analizzato i processi organizzativi e assistenziali dei servizi dedicati alla terapia del dolore, individuando le strutture, le attività, le professionalità coinvolte ed i dati e documenti da esse prodotte. «Siamo soddisfatti del lavoro svolto - ha dichiarato il professor Roberto Guarasci, coordinatore scientifico - perché è il primo studio veramente organico realizzato con il coinvolgimento di oltre 300 strutture a livello nazionale. Dai dati è emerso che i centri di terapia del dolore sembra siano abbastanza allineati con le direttive ministeriali per ciò che concerne la gestione del percorso di cura del paziente».
Dallo studio si rileva che «i centri che dispongono di risorse tecnologiche utili per l’inquadramento diagnostico-terapeutico del paziente con dolore cronico risultano essere il 66,1% e, tra questi, si rileva un picco del 88,9% per Veneto e Marche. Tra questi il 66,1% sono Spoke, mentre il 24,4% sono Hub. Il restante 9,4% rimane suddiviso tra i centri che hanno dichiarato di essere ambulatori o altra tipologia di struttura».
«Le restrizioni imposte - è scritto nello studio - dal Piano di rientro vigente nelle regioni Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia non hanno apparentemente interferito con l’organizzazione del modello strutturale della rete, né con l’efficienza delle prestazioni all'utenza. Infatti la Sicilia risponde con un 71,4% (su un totale di 14 strutture rispondenti) circa la disponibilità di risorse tecnologiche nel centro e la Campania con il 75%. Leggermente più basso il dato del Lazio, con il 66,7% (su 18 strutture rispondenti). Per quanto riguarda le altre regioni, si registra un picco dell’88,9% per le Marche e il Veneto; seguono il Trentino Alto Adige, con l’85,7%, e la Liguria, con l’80%. Tutte le altre regioni dichiarano una disponibilità di servizi per un valore medio del 58,6%. Tra le criticità si è evidenziato come manchi un protocollo condiviso per la gestione del paziente con dolore cronico a livello regionale. Infatti, solo il 30,8% in Piemonte e il 20% in Trentino Alto Adige dichiarano di disporre di un protocollo condiviso all'interno della regione, mentre in altre regioni si tocca il 7,7% nel Lazio, il 4,2% in Lombardia. Altre regioni, come il Veneto, la Puglia, la Campania e l’Emilia Romagna, dichiarano di non avere un protocollo condiviso a livello regionale».
Dalle considerazione finali dello studio emerge che «tutte le regioni, comprese quelle in Piano di rientro, si sono attivate per la realizzazione delle rete regionale per la gestione del paziente affetto da dolore cronico, secondo quanto previsto dalle direttive ministeriali vigenti. Ancora oggi in alcune regioni, non solo in quelle in Piano di rientro, esistono alcune carenze organizzative in parte derivanti da problematiche burocratiche regionali e aziendali interne ed in parte dalla carenza del personale medico e paramedico specificatamente dedicato».
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