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Alla ricerca della luce, l'ultimo romanzo dello scrittore calabrese Carmine Abate

Un quadro misterioso, una nonna di antica sapienza, uno dei pittori più grandi del nostro Ottocento, Giovanni Segantini

Un quadro misterioso raffigura una giovane donna con gli occhi chiusi. Nelle sue braccia, un bambino che invece gli occhi li ha ben aperti e che guardano lontano e non temono niente e nessuno. A scoprire il dipinto, nella casa di montagna, è Carlo, quando ancora ragazzino, assiste inerme alle litigate e agli scontri continui tra i genitori. Ebbene, quel dipinto gli consentirà di immergersi in un mondo nuovo. E sarà la nonna (detta moma) a chiarire al giovane l'identità di quelle due anime, facendo di lui un incredibile “cercatore di luce”. Proprio lei svelerà i protagonisti di quel quadro mirabile di Giovanni Segantini, uno dei più importanti pittori italiani dell'Ottocento.  D'altronde, "moma" è una maestra che sa far rivivere attraverso il racconto e che indubbiamente rappresenta la figura chiave dell'ultimo romanzo dello scrittore calabrese, premio Campiello, Carmine Abate, “Il cercatore di luce” (Mondadori), appena uscito in libreria, presentato nella “sua” Calabria nell'ultima, partecipatissima edizione del Festival Leggere&Scrivere di Vibo Valentia, e adesso in giro a incontrare i lettori (domani pomeriggio a Catanzaro Lido, libreria Ubik, giovedì al liceo classico Colao di Vibo, e poi a Roma, Milano, Pisa, Firenze).

Le immagini, destinate a restare scolpite nella memoria dell'adolescente, sono sostanzialmente tre. Non a caso, l'ultimo capolavoro dello scrittore, originario di Carfizzi, è un trittico, anzi il trittico dell'esistenza umana: la vita, la natura e la morte scandiscono la struttura del romanzo. Quadri alti quattro metri che più che dipinti «sono storie - ha rammentato lo scrittore, uno dei contemporanei più amati in Calabria - . Quadri intorno ai quali brulica la vita». In quella donna, poggiata alla testa del bambino, non c'è tanto la speranza, quanto una profonda inquietudine. È la moma - si diceva - a svelare il volto e il senso di quelle identità. Attraverso di lei rivivono i valori di una Calabria ferita, tratteggiati mediante due incisive categorie: «sberti e cioti». E il titolo di studio non c'entra: «Si poteva essere sberti o cioti comunque, anche con tre lauree...».

Moma era stata segnata dalla vita. Era stata lontano per tanti anni dalla sua terra, si era innamorata di un ingegnere del Nord. E soprattutto «credeva nell'amore eterno». Quello stesso amore che - incredibile a pensarsi nel profondo Sud ancora oggi - «può darti quattro figli fuori dal matrimonio».

Quello di Carmine Abate, dunque, è un romanzo epico e visionario che intreccia la straordinaria esistenza di uno dei più grandi pittori in località distanti fra loro, ma ugualmente meravigliose. Ed è quasi naturale, così, passare dal Trentino all'altopiano silano, una sorta di elogio alle meraviglie del creato, dinanzi al Mediterraneo. Un paradiso che permette di riscoprire valori ma anche di affondare il coltello nelle ferite di una terra che gronda sangue, che mescola bellezza e dolore. E la “moma” rappresenta la voce autentica di quell'orizzonte apparentemente perduto, colei che può farne rivivere le tradizioni che il tempo tende a contaminare. Proprio lei, la novantenne ancora lucida che non aveva esitato a sposare un ingegnere idroelettrico poi giunto fino in Sila, per progettare e far costruire dighe e laghi, a pochi chilometri dalla Punta dello estrema dello Stivale «dove il vento profumava di mare».

Tra Settentrione e Meridione, insomma, Carmine Abate costruisce un romanzo corale, in una lingua scorrevole, ma nel contempo ricercata, propria di chi sa come trascinare il lettore, carpendo dalle immagini i pensieri che alimentano “i moti del cuore”, quelli che consentono a chiunque di aprire gli occhi e guardare lontano, senza paura «di niente e nessuno».

 

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