Dobbiamo andare via o restare in Calabria? Questa domanda rappresenta l’inquietudine dell’essere calabrese, che viene rappresentata con delicatezza senza eccessi nel mediometraggio “Il paese interiore”, diretto dal giovane Luca Calvetta, ispirato alla vita e ad alcune opere dell’antropologo calabrese Vito Teti. La cornice scelta per la proiezione di questa raffinata pellicola è perfetta: il cortile dell’ultrasecolare Opera Salesiana “Beato Michele Rua”. Anche il contesto è perfetto: la conclusione del percorso del “Magna Graecia School in the city” ideato da Gianvito Casadonte, che vede gli studenti delle scuole del Catanzarese accostarsi al mondo del cinema. Perfetta anche la location di Soverato: proprio diciotto anni fa il Magna Graecia Film Festival muoveva qui i primi passi nell’arena della Villa comunale. L’incontro è stato moderato da Teresa Pittelli. Il lavoro di Calvetta è un viaggio, fisico e metafisico, tra la bellezza della natura, tra le processioni, tra le rovine, tra i volti della gente. È un progetto che osserva la Calabria in maniera poetica ma rigorosa, senza pregiudizi, nella sua complessità, nelle sue contraddizioni. Il giovane regista è riuscito a far emozionare e a far ritrovare in questi paesini – dove sembra ci siano solo il vuoto e l’abbandono – l’essenza della vita. Un tema a cui il professore Teti ha dedicato una vita di studi e di lavori. Trova spazio persino il mito del vampiro (a cui Teti ha dedicato un volume), un mito moderno che riflette antiche nostalgie. E poi il concetto di morte tutto calabrese, ovvero mai definitiva, e la fragilità delle nostre certezze, e il concetto di “restanza”. «Le rovine – si è così espresso Calvetta – , i luoghi abbandonati parlano, ci raccontano, dobbiamo partire per poi tornare. Dobbiamo salvare dall’oblio questi luoghi». Un compendio poetico in cui la voce narrante di Ascanio Celestini rende sempre più condivisibili le riflessioni di Teti. Vito è un ragazzo che cresce senza padre sino all’età di otto anni, che vive con la madre, una donna forte, che rimane solo nel suo paese perché la maggior parte degli abitanti emigra e che vive le trasformazioni. Tanti i luoghi che vediamo: Serra San Bruno, Soverato e San Nicola da Crissa e poi mare, montagne e colline. «La Calabria – ha detto Vito Teti – richiede un cammino, un senso di sopportazione, uno sguardo. Non basta domandarsi: chi siamo? Dobbiamo aggiungere: cosa facciamo? E poi ancora: che senso ha restare se non quello di rendere più abitabili i territori? Dobbiamo andare via o restare in Calabria? Restare è la forma più estrema del viaggio». In conclusione non si esclude il viaggio, si può anche viaggiare rimanendo fermi, ognuno deve fare la sua parte, si può partire e poi tornare, il tornare deve essere dinamico per salvare «il paese interiore».