Calabria

Venerdì 22 Novembre 2024

L'artista calabrese Nik Spatari, gigante ed eroe: grazie a lui ha vinto l'arte

Nik Spatari col suo mosaico sull'Ultima cena

Lo si può definire un artista epico. Già il suo corpo di gigante aveva in sé il concetto stesso dell’eroe: come se creare opere grandi, con un concetto di immenso, fosse scritto in modo inesorabile nel suo destino. Un titano capace di farsi beffe anche della sordità, che lo aveva colpito da bambino a causa dell’esplosione di una bomba durante la seconda guerra mondiale. Nik Spatari, scomparso il 25 agosto dell’anno scorso, oggi avrebbe compiuto 92 anni e la Fondazione Musaba (Museo Santa Barbara) di Mammola (Reggio Calabria) continua i suoi progetti, con la presenza, storica e attiva, della sua compagna Hiske Maas, a cominciare da quello, l’Eroe del Sagra, che in sé contiene l’epica di cui accennavo, una sorta di rappresentazione degli antichi abitanti della Calabria (che prima dei coloni greci, erano già un esempio di civiltà) e anche di sé stesso, Don Chisciotte concreto, che ha saputo realizzare, combattendo i tanti nemici che spesso l’arte si crea, quando è lontana da mercati e da interessi economici. Si tratta di una scultura in legno, tridimensionale, policroma e alta 13 metri, che ricorda la storica battaglia del Sagra (presso l’odierno Torbido), avvenuta nel V secolo a.C., in cui gli ateniesi, che volevano conquistare Locri, furono sconfitti dai guerrieri locali. «Concettualmente e idealmente – mi spiegò Spatari, che ha lasciato il progetto esecutivo – è una rivisitazione dei Bronzi di Riace, è il terzo bronzo». La sua capacità di pensare e di creare in grande - ma sempre legato alla Calabria, dove era tornato dopo le lunghe permanenze a Parigi e Milano - derivava anche dalla scoperta, che spiegava d’aver fatto negli archivi della Sorbona, dell’origine dell’identità calabrese. Ad aprirgli quelle porte erano stati artisti e letterati amici quali Sartre, Cocteau, Le Corbusier, Picasso ed Ernst. «Vorrei che tutti scoprissero – diceva – quello che la mia ricerca ha svelato: l’origine italica e non greca del nostro sapere, essere, creare storia, fare arte, vivere». Così la sua capacità pittorica di raccontare la Calabria minima, quella familiare, densa di tradizioni e anche di fatti di cronaca, si è trasformata nel ritorno a casa, sul promontorio di Santa Barbara, nella rappresentazione - architettonica, scultorea e musiva – di quell’epica che portava dentro fin da bambino. Non a caso rifiutava, per quanto fosse vero, la definizione di autodidatta, ma non perché aveva lavorato nello studio di Le Corbusier o perché Cocteau lo aveva fatto diventare celebre staccando una sua tela esposta in mostra e lasciando nella cornice un biglietto di ringraziamento. «Piuttosto che autodidatta – mi raccontò -, direi che la mia visione naturale fin dalla tenera età è innata». Il padre capì che questo bambino aveva qualcosa di speciale e chiese consiglio a D’Annunzio, con il quale aveva partecipato all’impresa di Fiume. Il Vate gli raccomandò di assecondare Nik, che già a 9 anni divenne celebre vincendo un premio internazionale. Spatari guardava con diffidenza alla definizione di “artista rinascimentale d’avanguardia” che gli era stata data, ma l’accettava. Era, ed è, un modo per sottolineare la sua capacità di progettare e creare oversize, ma con una lungimiranza che si allontanava dalla classicità delle forme e dei moduli compositivi per arrivare – ecco che torna il concetto – a un’epicità odierna, che racconta storie bibliche e classiche con un costante richiamo al pensiero contemporaneo, da artista in perenne ricerca e capace di esprimere sentimenti. Vediamo, per esempio, il “Sogno di Giacobbe”, sulla volta e sull’abside dell’ex chiesa di Santa Barbara, dedicato ai “sognatori” Campanella e Buonarroti. Un’opera lunga 14 metri, larga 6 e alta 9, fatta con 16 vele e realizzata con una tecnica personalissima: le figure sono ritagliate su fogli di legno leggero, poi dipinte e quindi applicate come rilievi sospesi nell’aria. E Giacobbe, non si può sbagliare, è proprio Spatari, che qui sublima sogni e progetti di una vita. Attenzione, però, Musaba non è solo una celebrazione del suo creatore: è un posto dove si studia e si impara, dove molti altri artisti hanno lasciato il loro contributo creativo, dove l’arte moderna si coniuga perfettamente con la natura e l’archeologia. Uno di quei posti che ovunque sono considerati centri d’eccellenza. Qui, invece, tutto è stato costruito con fondi privati, con la passione e la manualità di chi ha inventato dalle macerie. Sembra che adesso la Regione mostri un concreto interesse di intervento. Si vedrà. Del passato rimane una storia che in qualche modo ricorda quella odierna di Mimmo Lucano, fatta di persecuzioni giudiziarie che, involontariamente, sembravano fare il gioco di chi sul territorio preferiva un altro tipo di cultura, quella dei ricatti e delle minacce. Ha vinto l’Arte e non poteva essere altrimenti, ma questa vittoria va preservata nel tempo: è sempre il momento dell’Eroe del Sagra, per la Calabria e per tutto il Meridione.

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