Una città dalle radici antiche che non riesce ancora oggi ad emergere come dovrebbe, nel panorama culturale calabrese e nazionale. È Vibo Valentia, il cui castello non rientra nemmeno, al momento, tra i grandi attrattori culturali. E intanto c’è chi pensa a progetti alternativi che indubbiamente andrebbero a valorizzare palazzi e residenze oggi pressoché inutilizzati, per riportare alla luce, i reperti che fino ad oggi non hanno trovato collocazione all’interno del Museo “Vito Capialbi”, collocato nel castello normanno-svevo. Sotto questo profilo, nei giorni scorsi si è sentito un po’ di tutto, senza che nulla –come accade spesso a queste latitudini – si riuscisse a concludere. Ed è risuonato, quasi fosse un de Profundis, un imperativo categorico da un estremo all’altro della città: «Delocalizzazione»... Ma cosa si intende con un termine dalle mille sfaccettature etimologiche, usato più nella sfera industriale che in quella culturale, a cavallo della crisi successiva all’avvento del XXI secolo? La felice idea di qualcuno sarebbe stata quella di utilizzare palazzi storici e non soltanto per esporre il materiale al momento inutilizzato. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria