Calabria

Sabato 23 Novembre 2024

Nel Parco del Pollino una storia di scoperte e di bellezza

Il Parco del Pollino

“L'universo comincia con il pane e intorno a un solo pane un tempo si riunivano gli amici» diceva Pitagora, con parole tramandate ai posteri da Diogene Laerzio. Un pane come quello speciale di Cerchiara, comune cosentino che con San Lorenzo Bellizzi e ad altri 30, tra mari e monti, fa parte del versante calabrese del Parco Nazionale del Pollino, il più grande d'Italia, a cavallo di Basilicata e Calabria, tra le province di Cosenza, Potenza e Matera. E, sicuramente, saranno diventati “compagni di pane” (ma “compagno” viene proprio da “cum” e “panis”) tutti coloro che hanno condiviso la realizzazione del lungometraggio “Il buco”, ambientato dal regista di origine calabrese Michelangelo Frammartino, al suo terzo lavoro dopo “Il dono” (Locarno Festival) e “Le quattro volte” (premiato a Cannes, Quinzaine), tra l'Abisso del Bifurto, nel comune di Cerchiara, i piani del Pollino, San Lorenzo Bellizzi, e le fiumare di Civita e Cerchiara. Un'avventura eccezionale vissuta tra le bellezze maestose che la Calabria sa offrire, su in superficie, tra Ionio e Tirreno, mari di miti e di incroci di popoli, e il Dolcedorme, la vetta più alta del versante calabrese del Pollino, e giù, nelle viscere della terra, tra anfratti, grotte e gravine, dove è possibile fare esperienza del sublime, come in tanti luoghi di questa terra magnifica e difficile, la cui stessa natura è violata ma non dominata. «Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento», scrive Franco Arminio, il poeta-viandante-raccontatore che tante volte ha percorso antichi tratturi di Calabria. Ma abbiamo bisogno anche di registi, di fotografi, e di tutti gli operatori del mondo cinematografico che attraverso le immagini testimonino il rapporto tra uomo, memoria e natura. Ed è proprio la Calabria che si sta imponendo sempre più come una “terra del cinema e per il cinema”: una sfida portata avanti ormai da anni dalla Calabria Film Commission assieme alla Regione Calabria. Ridare dignità ai territori e alle comunità, far parlare alberi, montagne, grotte, sentieri, piante, come già Frammartino ha fatto con il film “Le quattro volte”, raccontando i culti arborei di questi luoghi dove ancora si celebrano riti antichissimi, dove ancora la gente sa cedere lo scettro alla natura, in cui l'albero per un giorno arriva in piazza e prende il posto dell'uomo. Ora Frammartino, che in Calabria è tornato con tutta la sua troupe e un cast singolare di 12 speleologi, con il suo lungometraggio ha fatto “parlare” l'Abisso del Bifurto, detto anche “Fossa del Lupo”, una grotta che scende per 683 metri, una delle più profonde al mondo. «La grotta - ha detto il regista - è un po' la stessa cosa dei culti arborei: entrare in grotta vuol dire fondersi con la montagna. Dopo qualche ora in grotta non pensi allo stesso modo, non sai quando tempo è passato, perché il buio ti inghiotte. La speleologia insegna a diventare un pezzo della montagna e tutto questo territorio insegna a diventare un uomo con un equilibrio diverso con l'ambiente. Per questo l'abbiamo scelto per fare un film e per questa ragione sarebbe interessante tornare ancora». Un proposito, quello di Frammartino, che è anche un invito a considerare questo luogo «non solo per la sua bellezza, ma per il concetto dell'umano che propone, un concetto che mette in crisi l'Occidente». Lo ha ricordato a tutti durante la conferenza stampa tenutasi al centro polifunzionale di San Lorenzo Bellizzi, per presentare “Il buco”, le cui riprese, iniziate il 5 agosto, termineranno sabato. All'incontro, moderato dalla giornalista Raffaella Salamina della Calabria Film Commission, hanno preso parte Giuseppe Citrigno, presidente della Calabria Film Commission, Vincenzo Martinucci, presidente della Società Italiana Speleologi, Domenico Papaterra, presidente del Parco del Pollino, Marco Serrecchia, produttore di Doppio Nodo, Vincenzo Martinucci, sindaco di San Lorenzo Bellizzi, Antonio Cersosimo e i 12 speleologi del cast, composto anche da pastori veri del Pollino. Il film, nato dall'incontro di Frammartino con il territorio di San Lorenzo Bellizzi, un paese intero, antico feudo baronale, divenuto set cinematografico accogliente e generoso, e con lo speleologo calabrese Nino Larocca, racconta l'impresa di giovani membri del Gruppo Speleologico Piemontese, che nel 1961, dopo aver esplorato numerose cavità del Nord Italia, si diressero al Sud, con un percorso contrario a quello di tanti emigranti. Anni di boom economico, in Italia, in cui si sfidava il cielo con il grattacielo Pirelli e, invece, quei giovani arrivavano a Cerchiara di Calabria, a sfidare il ventre e il buio della terra. Lo stesso viaggio esaltante e temerario che 12 speleonauti, undici speleologi professionisti della SSI, Società di Speleologia Italiana, assieme a un disegnatore-speleologo, selezionati dopo un casting di un anno e mezzo, hanno rivissuto in questi mesi. Con una doppia emozione: quella di calarsi in grotta, con gli stessi sistemi degli anni Sessanta, e quella di essere attori su un set straordinario, valorizzato dall' eccezionale fotografia di Renato Berta, che ha lavorato con maestri della cinematografia come Godard e Malle. Una recitazione in cui a esprimersi è soprattutto il corpo, il vero protagonista, perché lì, in grotta, nel vuoto, la parola si fa silenzio, e il movimento diventa attesa e prova di pazienza. Senza di loro, e senza una troupe altamente specializzata (in grotta è difficile anche portare una macchina fotografica), il film, che è un unicum dal punto di vista del racconto speleologico, ed è anche una ricostruzione storico-urbanistica della Calabria degli anni '60, non si sarebbe potuto realizzare. Così il Bifurto, abisso orrido e meraviglioso, spazio inclusivo e fortemente simbolico che invita tutti a scendere nella nostra grotta interiore, potrà essere visto anche da chi non è speleologo; e la Calabria, con le sue comunità virtuose, potrà essere portata in giro per il mondo.

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