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A Firenze la mostra "Romanzo sociale" del pittore reggino Nino Attinà

“Romanzo sociale”, la mostra in corso a Firenze (fino al 17 ottobre) nella sede di Plus Florence (Salone del Glicine), è l'ennesima, importante tappa della carriera di Nino Attinà, il pittore calabrese nato a Reggio nel 1953 ma residente a Milano fin dal 1977, dove ha insegnato a lungo e ha dato spessore alla sua carriera artistica. Al suo attivo molte mostre importanti, anche all'estero, senza dimenticare varie tappe in Calabria; è uno degli artisti soci del Museo della Permanente e partecipa attivamente alle iniziative.

Scrive Carlo Franza, curatore della mostra di Firenze: «Tra figure intere e primi piani, tra soggetti femminili dalle procaci rotondità agli uomini più austeri, l'artista propone piccoli scorci di vita e di quotidianità, che esplodono, però, grazie alla ricchezza del colore e alla luce che il pittore infonde in maniera consapevole e attenta. Il pittore riprende in mano la lezione del Cubismo sintetico di Picasso e Georges Braque per proporre forme capaci di dare il senso del movimento a quella sorta di fotografia. I soggetti sembrano in posa quindi, ma mai immobili. Postura, angolazioni e ambientazioni suggeriscono una scena di vita che va oltre, dando profondità e carattere ai soggetti in mostra. Vanno in scena, in questi quadri, né drammi né amori, ma frammenti di vita quotidiana che diventano straordinari grazie alla forte e sapiente cromaticità acquisita negli anni da Attinà».

Sicuramente l'artista reggino dimostra sempre una straordinaria capacità di rinnovarsi e di cercare nuove strade, pur rimanendo fedele alle sue ispirazioni originali. Come ci ha spiegato lui stesso in una conversazione.

Segno essenziale e dimensione visionaria: la sua pittura più recente ha subìto un cambiamento o, forse, un'accelerazione: cosa è accaduto?

«Il segno ha sempre caratterizzato il mio lavoro, (me lo ricordava sempre Giuseppe Marino, mio docente di pittura all'Accademia di Reggio); in questo ultimo periodo è diventato più essenziale e di sintesi».

Dei paesaggi mediterranei sono rimaste le scelte di colore. È un modo di allontanarsi dalle sue origini oppure Reggio e la Calabria hanno sempre un ruolo importante nelle sue opere?

«La visionarietà è parte integrante del mio modo di essere, è legata ai miei ricordi e alla “luce” del Sud che mi accompagna sempre, assieme al colore che vive di quella “luce”. Reggio e la Calabria fanno parte integrante della mia “anima”, sono sempre presenti».

Come Milano ha cambiato - se l'ha fatto - la sua ispirazione?

«Milano è stata fondamentale dal punto di vista professionale e di relazioni con altri artisti, dove sono utilissimi gli scambi di opinioni... Cambiato? No. Gli stimoli, i ritmi accelerati, le offerte che dà questa città sicuramente arricchiscono il bagaglio culturale e di conoscenze, poi sta al singolo interpretarle secondo quelle che sono le proprie esigenze. La dimensione umana non cambia, è sempre presente la mia origine, nonostante viva in questa città da oltre 40 anni».

Quali sono le tecniche che preferisce?

«Per dipingere prediligo l'olio, ma lavoro anche con i colori acrilici».

Nel 1985 lei è stato uno dei fondatori del gruppo “I Mediterranei”. Cosa le rimane di allora?

«È stata un'esperienza artistica e umana bellissima, ci conoscevamo tutti, l'entusiasmo e le forze della giovinezza hanno permesso la realizzazione di questa avventura, mostre importanti e ampi consensi di critica e di pubblico. Credo che sia stato l'unico gruppo di artisti calabresi che si sono affacciati sulla scena milanese nella metà degli anni Ottanta. Allora era un brulicare di movimenti, dalla Transavanguardia agli Aniconici, ai Neoespressionisti eccetera».

La sua recente mostra a Roma, prima di questa di Firenze, si intitolava “Colore e dinamismo”: si riconosce in questa definizione? E perché?

«Sì, rispecchia pienamente quella che è la mia personalità, io sono così».

Lei ha tenuto una mostra nell'ex studio di Piero Manzoni nel quartiere Brera ed è stato anche uno degli artisti a dipingerne una vetrata. Come definirebbe queste esperienze così particolari?

«Sì, Manzoni è stato artista tra i più importanti del 900. Per me è stato un grande onore. Soprattutto sono felice di aver dipinto una delle vetrate dello studio, che si è aggiunta a quelle realizzate agli inizi degli anni Sessanta da Agostino Bonalumi, Angelo Verga, Arturo Vermi e altri. Quelle di adesso sono state realizzate, oltre che da me, da Stefano Pizzi, Gaetano Grillo e Attilio Forgioli».

Lei ha dimostrato capacità di cambiamento e interesse costante per nuovi percorsi: come sarà la sua prossima pittura?

«Non lo so. Tutto avviene attraverso il lavoro costante, non mi accorgo neanche della strada che sto prendendo, questa è la magia dell'arte. L'arte non si programma, altrimenti diventerebbe un lavoro. L'arte è un'altra cosa!».

E dopo Firenze?

«Ci sono altre mostre in programma. Il problema è che, per me, prioritario è dipingere sempre e comunque: tutto ciò mi porta via tempo, e di tempo ne rimane sempre meno...».

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