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"Questi teatri del Sud, che immenso patrimonio!": l'intervista a Enrico Montesano

Enrico Montesano

“Un Paese come il nostro, dove si chiudono cinema e teatri, non offre certamente una bella immagine di sé. Eppure, un messaggio positivo viene da questa terra che è la culla della Magna Grecia e madre di una delle più straordinarie scoperte che siano avvenute nella storia italiana: i Bronzi di Riace». È “l'omaggio” che Enrico Montesano - protagonista in questi giorni al Cilea con il “Conte Tacchia”- rende alla Città dello Stretto ed estende a tutto il Sud «dove la cultura è proprio quello che dovrebbe essere: aggregazione, socialità ed anche riscatto che ripaga di quelle cose negative che comunque ci sono. Questo grazie ai tantissimi personaggi, e cito per tutti l'indimenticabile Pino Daniele, che della loro arte hanno saputo fare un momento di straordinario coinvolgimento popolare».

Ieri sera al Cilea l'applauditissima “prima” della versione - di cui Montesano è anche regista - della commedia musicale dell'opera liberamente tratta dall'omonimo film di Sergio Corbucci, scritta da Luciano Vincenzoni, Sergio Donati, Massimo Franciosa, con musiche di Montesano e Gianni Clementi.

Incontriamo l'attore prima che entri in scena: il Cilea ha ottenuto il record di incassi con tremila ingressi grazie al suo spettacolo. «Però non diciamo “sold-out”, ma teatro pieno», esordisce, invitando a usare, se c'è, la corretta formula italiana. E prosegue: «Il Conte Tacchia, il cui soprannome è accostato a Francesco Puricelli per via della sua professione di falegname e la sua mania di puntellare mobili e oggetti traballanti con una zeppa di legno, in romano appunto detta “tacchia”, è un personaggio romano, burlone e scherzoso, preso continuamente in giro dai ragazzini. È soprattutto un uomo vero del popolo e semplice. Al centro della vicenda c'è la lunga e tormentata storia d'amore tra Fernanda e Checco dal 1910 fino al 1944, raccontata con grandissima attenzione all'accuratezza della ricerca storica proprio per cercare di ritrarre al meglio la Roma dei primi del ‘900. L'opera, mi preme sottolineare, non ha ricevuto alcun finanziamento pubblico e piace perché è imponente e generosa, con quindici attori e dodici ballerini quasi stretti, per stare tutti insieme sul palco e con i diciotto cambi di scena rigorosamente eseguiti a vista che sono punti di forza e di attrazione».

L'articolo completo sulla Gazzetta del Sud in edicola.

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