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Le notti stellate di Marcello Fonte, l'attore racconta la sua vita e la sua Calabria

Marcello Fonte

Lo sguardo è sempre quello, quasi smarrito, di chi sembra non riuscire a trattenere lo stupore. Lo sguardo è sempre quello, sorpreso, col quale salendo sette mesi fa sul palco del festival di Cannes per ricevere la Palma d'oro quale migliore interprete conquistò tutti raccontando del rumore di quegli scrosci di pioggia sulla lamiera del tetto della baracca nella quale viveva, a due passi dal torrente Scaccioti ad Archi, quartiere storico di Reggio, che a lui sembravano applausi. Lo sguardo è sempre quello, quasi perso nel vuoto, che campeggia anche sulla copertina del suo libro di debutto “Notti stellate” (Einaudi) che ha presentato anche nella “sua” Reggio (e che si ritrova nel video di auguri che ha voluto indirizzare alla Gazzetta e ai nostri lettori, e che troverete sul nostro sito www.gazzettadelsud.it). Di diverso c'è la barba che ora gli incornicia il volto.

Esigenze di scena?

«Ma quando mai! È che non ho avuto tempo di farla... Scherzi a parte, mi piace tenere la barba e per ora va bene così». Marcello Fonte è questo: non si sottrae al dialogo, sempre incline alla battuta che utilizza come elemento per “diluire” concetti forti – a comincare dall'esortazione a vivere pienamente la vita, «gustandola giorno dopo giorno» – con una levità e una semplicità disarmanti.

Rientrato in riva allo Stretto per le festività, a Reggio ha presentato a Palazzo Avaro, sede della Città Metropolitana, il suo libro trovando i giusti alleati in Paolo Tripodi – un sodalizio artistico, il loro, nato con “Asino vola”, primo lavoro importante per il grande schermo – , in Anna Foti, che ha coordinato l’incontro, e in Fabio Saraceno, della “storica” libreria Ave. «Devo essere sincero? - ha detto Marcello Fonte – . Io in tutti gli anni che ho abitato a Reggio in una libreria non ero mai entrato! D'altra parte anche per entrare al cinema a momenti ho dovuto fare un film... La mia era una famiglia numerosa e non c'erano grandi possibilità. Già che a casa avevamo la televisione era tanto... Per di più funzionava male. Ricordo che per vedere il mio programma preferito, “Bim Bum Bam!” con Paolo Bonolis, dovevo stare dietro al televisore per tenere il filo dell'antenna. E quindi il programma lo vedevo anche di traverso. Poi la vita ti sorprende e capita pure che incontri da vicino proprio Bonolis e pensi: prima per vederlo in tv dovevo fare incredibili equilibrismi e improbabili contorsioni, adesso invece ci sto accanto e gli parlo!».

L'ha raccontato questo a Bonolis?

«No. Non è capitato, non ho avuto modo di dirglielo anche se abbiamo anche lavorato assieme. Mi avrebbe fatto piacere dirglielo ma io sono fatto così: se mi danno modo di raccontare una cosa lo faccio, e anche ben volentieri, ma non mi va di essere io a dire: sai, una volta da piccolo...».

Cos'è questo libro per Marcello Fonte?

«Dentro c'è la mia vita e, attraverso questa, racconto anche un periodo storico di Archi, di Reggio, della Calabria. Racconto di questo bambino che con l'arte di arrangiarsi, che ha imparato dal padre, ha iniziato a muoversi capendo, pur non avendo nulla, l'importanza di saper valorizzare quel nulla che aveva. Anche se si trattava solamente di poche lamiere malmesse. Cosa volete che siano le lamiere, quanto volete che costino, che valgano? Poco o nulla. Però oggi quelle lamiere hanno per me un grande valore. “Notti stellate” è il racconto delle cadute, dei sogni, dei ceffoni che la vita mi ha dato. In alcuni casi, sia ben chiaro, schiaffi più che meritati, che mi hanno trasmesso una grande lezione: nulla è scontato. Non è scontato avere per forza le scarpe nuove, gli abiti all'ultima moda e di gran marca, l'ultimo telefonino. Non è scontato, soprattutto, avere tutto e subito, come invece molte volte accade adesso. Si arriva per gradi ad avere le cose».

Ma è vero che il titolo originario del libro era diverso?

«Sì, all'inizio era “Guardando s'impara”. Avevo pensato a questa che era una frase che ripeteva sempre mio padre: “Tu varda, cu' l'occhi si 'mpara”. Come dire, quando non sai come fare una cosa, prima osserva».

Torniamo al cinema. In un 2018 da incorniciare sono arrivati la Palma d'oro a Cannes, l'European film awards e il Nastro d'argento, oltre a numerosi altri riconoscimenti. Però la corsa all'Oscar di “Dogman” è finita prima dello sprint decisivo. Rammarichi?

«E perché mai? Sono felice così. Ho preso l'Oscar europeo che non è da meno di quello 'mmericano. Che devo dire... ma devo vincere tutto assieme? Tutto adesso? E allora poi che faccio, per che cosa lotterò? Diciamo che l'appuntamento con l'Oscar è soltanto rinviato... Scherzi a parte, non sto sul set pensando a questo o quel premio che potrei vincere. A me soddisfa fare un buon lavoro. Cerco il piacere di fare un bel lavoro, non il successo. Se poi arriva anche quello tanto di guadagnato. D'altra parte chiunque ami il lavoro, ed io sono uno di questi, sa quanto importante sia innanzitutto sentirsi bene con se stessi. Io ho sempre creduto in quel che facevo, oggi come ieri, e vivo col piacere di fare quel che faccio».

Quando torni a Reggio che sensazione hai? Che rapporto hai con la città?

«Bella. Mi piace. È sempre bello tornare nella propria città. Quando posso rientro con piacere e mi immergo pienamente nella sua realtà. Ci sono cose che mi danno piacere e le faccio. Ad esempio suonare con la banda. L'ho sempre fatto, ho suonato in tanti paesi, con tanta gente. L'ho fatto l'estate scorsa ma l'ho fatto anche due giorni fa quando a San Giovanni di Sambatello ho ripreso il rullante per accompagnare il mesto corteo funebre che ha seguito la nonna di una mia cara amica che suonava nella banda. Ci tenevo ad andare e l'ho fatto con il cuore».

Musica, cinema, adesso scrittura: Marcello Fonte non si risparmia...

«Io scrivo vivendo la mia vita di ogni giorno».

Cosa ti auguri per questo 2019?

«Intanto un pensiero di assoluta vicinanza agli amici catanesi colpiti dal terremoto. Soffro assieme a questi nostri dirimpettai: vedere crollare la propria casa, vedere cancellato in pochi istanti tutto quel che si era costruito con grande sacrificio è terribile. Prima di pensare solo a noi occorre pensare agli altri. Poi nel nuovo anno che sta per cominciare mi piacerebbe vedere sorridere di più le persone, vedere la gioia nei volti».

A Reggio in particolare cosa auguri?

«Di rimanere com'è: poetica, di non rovinarsi inseguendo nuovi e improbabili modelli. Auguro a Reggio di rimanere bella e gentile magari aprendosi un po' di più, riuscendo veramente a fare rete con il resto dell'Italia. Ai reggini chiedo di gioire di ciò che si ha, di combattere per ottenere quel che spetta ma non si ha ancora, senza lamentarsi ad ogni costo. Quanto alla politica, a chi amministra, rivolgerei l'invito a guardare la città dal basso. Magari prendendo un autobus e vedere concretamente come vive la gente, quali sono le vere esigenze, le aspettative. Chi amministra lavora per il popolo, un po' come l'attore che è al servizio del pubblico. Chi amministra deve, soprattutto, ascoltare i cittadini».

C'è qualcosa che ti manca del Marcello Fonte che non era ancora famoso?

«Spero di avere sempre la stessa fame, più che la fama. È la fame che ci tiene in vita».

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