Il crescente astensionismo nelle elezioni è la manifestazione evidente della pari crescente sfiducia che i cittadini nutrono verso le istituzioni e, più in generale, nei confronti delle élite politiche. Non interessarsi di politica o avversare tutto ciò che è politica sfocia inevitabilmente nell’astensionismo, anche se la politica è determinante nella vita di ogni cittadino, a maggior ragione se abita in aree economicamente poco sviluppate, dove, di norma, il ruolo della spesa pubblica, e dunque della politica, è di gran lunga più rilevante. Le prossime elezioni regionali in Calabria saranno, fra le altre cose, un test per misurare il grado di fiducia (o sfiducia) verso l’istituzione regionale. A guardare i numeri della partecipazione elettorale, i calabresi sembrano avere un minore gradimento per le elezioni regionali rispetto a quelle politiche di Camera e Senato. Le statistiche ufficiali hanno fissato, infatti, la partecipazione dei calabresi alle ultime elezioni di Camera e Senato, nel 2022, al 50,8% mentre alle regionali del 2021 la partecipazione è stata del 44,4%, la stessa percentuale delle due tornate precedenti. Guardando con maggiore attenzione i dati sulla partecipazione, si nota che i calabresi che si sono recati alle urne sono stati nelle Regionali del 2021 circa 838mila, quasi 80mila in più dei votanti nelle Politiche del 2022. Questo scarto è dovuto al fatto che gli elettori calabresi residenti all’estero sono iscritti fra gli aventi diritto al voto alle regionali, mentre nelle elezioni politiche votano per la circoscrizione estero e, quindi, non risultano iscritti come elettori nelle liste del comune. Per tale ragione, nelle elezioni regionali la percentuale di votanti è più bassa di quella che si registra alle Politiche, anche se in valore assoluto i votanti sono maggiori. Pur nel generale declino della partecipazione elettorale, soprattutto se rapportata a qualche anno fa quando, ad esempio, nelle Regionali del 2000 si erano recati a votare quasi un 1,2 milioni di calabresi, il motivo principale che spinge gli elettori a recarsi al seggio è la possibilità di esprimere un voto di preferenza per i candidati al Consiglio regionale. Non è un caso che i partiti tendono a comporre coalizioni con un’ampia numerosità di liste, proprio per candidare più aspiranti consiglieri possibili per accrescere i consensi elettorali. Si consideri che nella competizione in corso sono presenti complessivamente 15 liste con più di 350 candidati, di cui solo meno di un decimo varcherà la porta principale di Palazzo Campanella. In questa folta schiera di candidate/i possiamo individuare almeno quattro grandi categorie: i candidati che sono certi di essere eletti, quelli che se la giocano con altri candidati della stessa lista per avere un posto nell’Assemblea regionale, quelli che sono consapevoli di non poter essere eletti ma che hanno accettato la candidatura per “spirito di servizio” e, infine, quelli, tanti, che si illudono di potercela fare. Nel multiforme universo dei candidati, come è facile immaginare, ci sono persone con poca o nessuna esperienza pregressa in fatto di rappresentanza politica o di governo, e tantissime altre non dotate di adeguate doti e competenze professionali e relazionali assimilabili, seppur lontanamente, all’agire politico e gestionale. Dovremmo, perciò, augurarci che ad essere elette/i siano i candidati più strutturati e più sensibili ai beni comuni e alla cosa pubblica, che abbiano dato buona prova di sé in esperienze passate, che conoscano diffusamente persone e luoghi della regione, che abbiano consapevolezza delle criticità e dei bisogni della popolazione, che abbiano ragionato sulle possibili soluzioni dei problemi che affliggono la Calabria, che apprezzino il valore della partecipazione democratica alle scelte collettive. Va rilevato, purtroppo, che i dati relativi alle passate legislature non sono molto confortanti sulle capacità di azione dei consiglieri e, dunque, del Consiglio regionale. Se prendiamo, ad esempio, la frequenza con la quale si riunisce e decide il Consiglio, rileviamo che in quest’ultima legislatura l’Assemblea regionale si è riunita solo 56 volte, poco più di una volta al mese, una frequenza decisamente desolante se rapportata agli altri consigli delle regioni italiane. In molte Regioni, infatti, la numerosità calabrese conseguita in un quadriennio è raggiunta in solo anno: per esempio, nella confinante Basilicata, così come in Veneto, il Consiglio è stato convocato circa 40 volte in un anno, nella Campania in media circa 35 sedute all’anno, mentre in Toscana e Liguria si raggiunge il picco medio di circa 50 sedute in un anno. In Calabria anche la “produttività” delle Commissioni permanenti del Consiglio risulta abbastanza limitata con dati simili a quelli della frequenza con la quale si riunisce la massima Assemblea regionale. Se misuriamo la produttività del Consiglio con la frequenza con cui si riunisce e dal numero dei provvedimenti licenziati, dovremmo attribuirgli un’etichetta di marcata insufficienza. A maggior ragione, dunque, è auspicabile che non solo si accresca il tasso di partecipazione al voto da parte dei calabresi ma che, nel contempo, si facciano scelte più oculate del passano nell’individuare i candidati più “meritevoli” a ricoprire il ruolo, importante, di consigliere regionale. *Docente di Sociologia politica all’Università della Calabria