
“Il 31 luglio, mentre la Calabria affronta l’ennesima estate segnata da emergenze sanitarie, carenze infrastrutturali, incendi ovunque e diritti fondamentali negati, Roberto Occhiuto sceglie il colpo di teatro a mezzo social.
Nel video appare sicuro, il sole in fronte, in un cantiere aperto. Ma dietro quell’immagine costruita si nasconde una gestione del dissenso che non dialoga: punisce. Lancia accuse con fermezza, mentre ostenta sicurezza. Poi sospende tutto. Risponde con un atto assoluto, verticale, personalistico: si dimette per potersi ricandidare. Un gesto che piega le istituzioni alla narrazione del singolo, non ai tempi reali e alle urgenze concrete della Calabria.
Accusa altri di aver ‘fermato’ il governo regionale, ma è lui a congelare tutto. Blocca la Regione. Per ‘ripartire’, sì — ma da sé stesso.
Una prova ulteriore di un potere che interpreta il governo non come servizio alla comunità, ma come esercizio del proprio controllo. C’è chi ha presentato questa decisione come una mossa astuta, un’operazione abilissima per sottrarsi al logoramento interno e rafforzare la propria leadership.
Ma è un gesto da viceré, non da presidente eletto. Perché in quella scelta c’è una confusione di fondo: si scambia il mandato ricevuto per un titolo personale, la funzione pubblica per proprietà privata.
Ma la Calabria non è un feudo. E i calabresi non sono sudditi. Quando ogni voce critica viene liquidata come invidia o ostilità, si rivela non forza, ma fragilità.
Nel racconto dell’uomo accerchiato da ‘politici di secondo piano’ o ‘odiatori’, emerge l’incapacità di sostenere il peso della democrazia.
La verità è semplice: la Calabria non è stata fermata da una congiura. È stata bloccata in questi anni da un modello di potere verticistico, autoreferenziale, costruito attorno a una sola figura.
Dimettersi per ricandidarsi non è cercare legittimazione popolare — quella l’aveva già avuta. Oggi, è un azzardo istituzionale. Un atto che destabilizza e sposta il baricentro dalla collettività alla biografia del singolo.
È l’ennesimo capitolo di una leadership fondata sull’apparenza mediatica, sull’immagine, ma che ha disertato la costruzione di processi politici condivisi e democratici. Insomma, Occhiuto ha comunicato molto, ma ha governato poco.
Oggi è la Calabria che deve tornare al centro. Non come sfondo di una narrazione personale, ma come priorità politica, sociale, umana. È la Calabria delle tante emergenze non ascoltate, delle comunità dimenticate, delle promesse non mantenute.”
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