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Gratteri: «'Ndrangheta sempre più ricca e potente. Alla Calabria serve un deciso cambio di mentalità»

Intervista al magistrato più esposto nella lotta al crimine organizzato. «La ’ndrangheta ha sempre avuto una grande capacità di adattamento al mutare dei contesti sociali ed economici, conciliando astuzia contadina e fiuto imprenditoriale»

Nicola Gratteri è il magistrato italiano più esposto nella lotta contro il crimine organizzato.
Una vita sotto scorta – addirittura dall’aprile del 1989 – oggi è Procuratore di Napoli, dopo aver diretto la Procura di Catanzaro per sette anni, dal 2016 al 2023. Precedentemente è stato procuratore aggiunto a Reggio Calabria e pubblico ministero a Locri.
Con Antonio Nicaso è autore di una monumentale storiografia sulla ’ndrangheta che ha prodotto fondamentali conoscenze sul fenomeno mafioso calabrese e la sua espansione nel mondo, demolendo stereotipi, luoghi comuni e stimolando una forte coscientizzazione. Gratteri impegna il suo tempo libero tenendo lezioni nelle scuole e nelle università di tutto il Paese, con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani agli ideali della giustizia nel solco di una pedagogia del contrasto alla cultura mafiosa.
Con il giudice originario di Gerace, più volte ospite del percorso di Pedagogia dell’Antimafia all’UniCal, abbiamo parlato di lotta alla ’ndrangheta e di riscatto per la Calabria.

Procuratore, cos’è diventata oggi la ’ndrangheta?

«La ’ndrangheta è ormai una organizzazione criminale sempre più potente e più ricca. È presente in almeno 50 Paesi e, da oltre vent’anni, è un attore economico globale con un giro d’affari che si aggira intorno ai 53 miliardi di euro annui, di cui la maggior parte proviene dal traffico di cocaina. Ci sono clan di ’ndrangheta che hanno messo le loro radici in Europa, nelle Americhe e nella lontana Australia. Storicamente, la ’ndrangheta ha sempre avuto una grande capacità di adattamento alla mutevolezza dei contesti sociali ed economici, conciliando astuzia contadina e fiuto imprenditoriale. Devo però dire che non mi aspettavo un adattamento così repentino al mondo dell’innovazione tecnologica. Non mi aspettavo di vedere pirati informatici tedeschi in Calabria, assunti per minare criptovalute e investire enormi somme di denaro su piattaforme clandestine di trading».

In che modo può essere contrastata?

«Bisognerebbe coordinare gli sforzi a livello internazionale, incrementando il programma messo a punto dall’Italia in collaborazione con decine di altri Paesi. Quel programma di cooperazione internazionale, assieme al prezioso lavoro svolto da alcuni magistrati che operano al Ministero della Giustizia, noto come ICAN (Interpol Cooperation Against ’Ndrangheta), ha consentito l’arresto di tantissimi latitanti. Adesso bisognerebbe andare oltre i soliti trafficanti di cocaina e individuare tutti quei professionisti, politici e uomini delle istituzioni che agevolano le strategie dei clan riconducibili a questa organizzazione criminale. Bisognerebbe anche sequestrare e confiscare i beni illegalmente conseguiti che spesso sfuggono alle indagini delle forze di polizia, soprattutto fuori dall’Italia. Su questo fronte, moltissimi Paesi ancora nicchiano. Nel mondo si riesce a confiscare meno del 2% delle ricchezze accumulate dalle organizzazioni criminali. Se si tiene poi conto dell’evoluzione tecnologica a cui ho accennato, le cose si complicano ulteriormente. C’è bisogno di svecchiare i protocolli d’indagine, mettere mano a necessarie riforme normative, evitando che ci siano santuari, o meglio zone franche, come è successo finora con il riciclaggio di denaro».

Cosa spiega ai giovani quando nelle scuole e negli atenei di tutta Italia parla loro di lotta alle mafie?

«Ho sempre sottolineato la non convenienza a delinquere, facendo capire che certe narrazioni raccontano un mondo che spesso esiste solo nella fantasia. Ad arricchirsi sono in pochi, gli altri sono carne da macello, destinati al carcere o al cimitero. Ma spiego anche l’importanza di scegliere da che parte stare. Come diceva Giovanni Falcone nella lotta contro le mafie non bisogna soltanto confidare sull’impegno straordinario di pochi ma su quello ordinario di tutti».

Procuratore, c’è ancora speranza per il riscatto della Calabria?

«Non si può pensare allo sviluppo del sistema-Paese senza affrontare il divario che separa le due Italie. I politici devono comprendere che il tempo delle parole è finito: è arrivato il momento di garantire non solo opportunità occupazionali, ma anche il diritto fondamentale alla salute. La Calabria non può più essere costretta a vedere i propri cittadini fare continui pellegrinaggi verso le strutture sanitarie del Nord, con un sistema sanitario che troppo spesso si dimostra inefficiente e sottodimensionato. La Calabria deve guardare con maggiore consapevolezza alle proprie risorse: le bellezze naturali, la storia e la geografia che la rendono unica. La sua cultura e il suo patrimonio devono diventare il cuore pulsante di un nuovo modello di sviluppo, che non sia più legato a logiche di sfruttamento o clientelismo, ma che nasca da un vero e proprio cambio di mentalità. Questo cambio deve passare da un modo nuovo di concepire la cosa pubblica: un bene comune che appartiene a tutti, senza distinzioni, dove ogni cittadino ha la responsabilità di contribuire e beneficiare. In questo processo di riscatto, il ruolo delle istituzioni è cruciale. È necessario che la politica si impegni a creare un ambiente favorevole all’innovazione, all’imprenditoria e alla valorizzazione delle risorse locali. La Calabria non deve più essere vista come una terra da cui fuggire, ma come una regione dove investire, crescere e prosperare. Il riscatto della nostra terra è possibile, ma solo se ci impegniamo tutti insieme, con determinazione e visione, a cambiare la nostra prospettiva e a costruire un futuro che dia speranza alle generazioni che verranno».

 

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