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Violenza di genere, tutela incompleta. La legge regionale calabrese ignora la comunità Lgbtqia+

La nuova normativa cita l’orientamento sessuale solo nel primo articolo, tra i principi generali. Tutti i servizi di accoglienza e protezione sono invece rivolti solo a donne vittime di uomini

Nelle intenzioni del Consiglio regionale, la legge appena approvata sul contrasto del fenomeno della violenza di genere avrebbe dovuto permettere di compiere un passo importante verso la tutela delle vittime. Nelle considerazioni preliminari del testo, infatti, sono riportate le fonti normative europee e internazionali che sono considerate un riferimento ideale, a cominciare dalla Convenzione di Istanbul. Tuttavia, un’analisi del testo licenziato mette in luce una grave lacuna: la pressoché totale assenza di misure specifiche rivolte alla comunità Lgbtqia+, nonostante proprio le fonti internazionali citate evidenzino l’esigenza di previsione di tali misure.
La legge regionale, infatti, cita l’orientamento sessuale e l’identità di genere solo all’art. 1, tra i principi generali, riconoscendo che ogni forma di violenza fondata su tali basi costituisce una violazione dei diritti umani. Negli altri 24 articoli che compongono la legge, la questione scompare: i Centri Antiviolenza (Cav), le Case Rifugio, i percorsi di recupero per autori di violenza (Cuav), i servizi di accoglienza e protezione, così come il sistema informativo e di monitoraggio, sono tutti pensati all’interno di un impianto binario: donna-vittima, uomo-autore.
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