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I sindacati dei camici bianchi sono pronti alle barricate, il governatore calabrese Roberto Occhiuto invece non si esprime ufficialmente e aspetta un nuovo passaggio in Conferenza delle Regioni, per definire una posizione condivisa prima di ulteriori confronti con il governo. La sostanza, in ogni caso, non cambia: la riforma dei medici di medicina generale sta creando non poche fibrillazioni anche a queste latitudini.
E se al momento se il fronte delle Regioni è abbastanza compatto nel chiedere di voltare pagina rispetto allo status quo, dentro la maggioranza di centrodestra non mancano importanti differenze con Forza Italia particolarmente critica sull’ipotesi di una riforma troppo spinta. Va detto pure che nemmeno all’interno del partito guidato da Antonio Tajani esiste una posizione unanime. Prova ne è il fatto che alla conferenza stampa di presentazione del progetto di riforma “alternativo” a quello sostenuto dal Ministero della Salute, presentato da alcuni parlamentari azzurri, non era presente nessuno tra i presidenti di Regione forzisti.
Il nodo più grande I principali attriti ruotano attorno alla possibilità di trasformare lo status giuridico dei medici di medicina generale. Non più lavoratori autonomi, pagati dal Servizio sanitario nazionale, operanti in regime di convenzione, ma dipendenti del Ssn come già adesso lo sono gli ospedalieri. Così facendo si punta a rimpolpare con i medici di famiglia le nuove Case di comunità - ne apriranno in tutto 1.400 entro metà 2026 - e su cui il Pnrr investe ben 2 miliardi. D’altronde già nel 2021 le Regioni avevano firmato congiuntamente un documento in cui si affermava che «la pandemia da Sars-Cov-2 ha evidenziato ulteriormente che il profilo giuridico del medico di medicina generale e i loro contratti collettivi nazionali non sono idonei ad affrontare la gestione delle multi-cronicità, l’aumento delle fragilità, la programmazione dell’assistenza domiciliare».
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