Le dichiarazioni del presidente della Regione, Roberto Occhiuto, rilasciate nei giorni scorsi in merito al progetto del rigassificatore a Gioia Tauro non hanno fatto altro che confermare la situazione di stallo sull’opera. Ma hanno fornito lo spunto per capire dinamiche politiche e commerciali. Di fatto, questo intervento faraonico è stato rispolverato dai vecchi cassetti su spinta della Regione a guida centrodestra, che sfruttando l’onda della crisi energetica provocata dal conflitto in Ucraina ha “ricordato” al governo che esisteva un “fascicolo gas” a Gioia Tauro. Ed in effetti, oltre alle sterili dichiarazioni politiche, anche dopo l’inizio del conflitto si è dovuto attendere la fine del 2023 per approvare un decreto che dichiarasse la strategicità dell’opera. Del resto il governo, anche per sfruttare la maggiore velocità di attivazione, aveva puntato sui siti di rigassificazione mobili.
Occhiuto insiste sulla realizzazione di questa opera perché così la Calabria potrà dire la sua nel contesto energetico nazionale, nonostante proprio in queste ultime ore Legambiente abbia duramente “bacchettato” il presidente sostenendo che l’intervento è ormai superato. Ma, come si diceva prima, c’è anche un aspetto economico-commerciale che viene a galla prepotentemente dalle parole di Occhiuto. Il presidente dichiara al Sole 24 Ore: «Il progetto di Iren e Sorgenia per ora sembra accantonato. Si dovrebbe chiedere a queste aziende se vogliono realizzarlo oppure cederlo. Una decisione in ogni caso andrebbe presa». Ed in effetti le società sono rimaste quasi sempre in silenzio in questi anni di exploit del dibattito intorno all’opera, interrompendolo solo per ricordare la necessità di autorizzare una copertura finanziaria da parte del governo. Peraltro non si hanno notizie della società che aveva presentato formalmente il progetto, la “Lng Medgas Terminal”, controllata dai due colossi energetici.
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