Reati ambientali, ecomafie, traffico di rifiuti. Espressioni entrate negli ultimi anni nel lessico comune anche grazie a maggiore copertura da parte di media, un’accresciuta sensibilità dei cittadini e una crescente attività repressiva delle forze di polizia. Quello dei reati ambientali è un mondo complesso, che va dall’inquinamento delle falde acquifere e del territorio fino allo smaltimento illecito di rifiuti non “trattati”. Parlando dei grandi traffici di rifiuti, uno degli errori in cui si incorre è pensare che dietro ci sia sempre la criminalità organizzata. Intanto, quelli ambientali non sono crimini di scopo, non sono cioè “reati fine” come potrebbe essere un’estorsione, una rapina, un omicidio. Non si inquina per il gusto o per la volontà di inquinare. Al contrario, sono “reati mezzo”, “reati strumento” per perseguire un ingiusto profitto economico.
Criminalità tecnico-economica
«In questo la criminalità organizzata classica si è evoluta - spiega l’ex comandante del Noe di Reggio Calabria Pierantonio Tarantino (in foto) - diventando criminalità tecnico-economica con stuoli di professionisti (legali, chimici, ingegneri, biologi, commercialisti ecc.) che si mettono a disposizione delle società per far risparmiare denaro, spesso aggirando le norme ambientali». È inoltre importante sottolineare che l’espressione “traffico di rifiuti” si riferisce in questo caso a varie condotte (cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione o gestione di grandi quantità di rifiuti), ossia a una pluralità di operazioni supportata da un’organizzazione professionale con mezzi e capitali. «Parliamo spesso in questi casi di veri e propri “delitti d’impresa” – aggiunge Tarantino - dove l’ingiusto profitto ottenuto mediante la violazione delle normative ambientali rappresenta in un certo senso lo “spread” tra un’impresa produttiva fondata sul malaffare e una onesta che non è concorrenziale. Davanti alla poliedricità del fenomeno della criminalità ambientale, la “expertise” investigativa dei Carabinieri che si occupano di tutela dell’ambiente deve dunque estendersi a ulteriori settori quali la conoscenza delle dinamiche e della normativa di funzionamento della pubblica amministrazione, degli appalti, dell’esecuzione di grandi opere pubbliche e delle fonti rinnovabili non fossili (eolico, fotovoltaico, geotermico, biomassa, biogas, etc.)». Tutto ciò conferma il coinvolgimento non solo della criminalità organizzata di tipo mafioso, ma anche di gruppi imprenditoriali di spessore (con interessi commerciali diversificati) che, per la materia specifica, si avvalgono della consulenza e delle prestazioni di figure di elevata professionalità, evitando spesso i contatti diretti con esponenti mafiosi.
Le imprese criminali
«Tale ruolo – aggiunge il comandante Tarantino - appare consolidarsi ancora di più nel contesto della gestione illecita del ciclo dei rifiuti dove è frequente l’intervento diretto di “imprese criminali” le quali perseguono, attraverso l’esercizio di attività economiche, profitti illeciti, acquisendo ingenti quantitativi di rifiuti – ignorando quanto previsto dalle autorizzazioni – anche a prezzi fuori mercato, omettendo successivamente di sottoporli ai necessari trattamenti». L’esame delle attività investigative mostra come il traffico illecito dei rifiuti rientri tra le scelte d’impresa volte alla indebita riduzione dei costi e conseguente alterazione dei prezzi di mercato, in spregio alle leggi che tutelano la libera concorrenza e l’operato delle aziende oneste. Sono molteplici gli ambiti nei quali è possibile diversificare le infiltrazioni illegali per “puntare” all’imponente quantità di denaro che gravita intorno al patrimonio ambientale del Paese.
Flussi di denaro, mercato globale
«Attratta dai grandi flussi di denaro e di appoggi - sottolinea l’ex comandante del Noe di Reggio Calabria - la criminalità che opera anche nel settore ambientale ha avuto modo di diffondersi rapidamente su tutto il territorio nazionale e, sempre più frequentemente, di trovare validi riferimenti per proseguire oltre frontiera i propri traffici». Le attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti sono state negli anni agevolate da una serie di congiunture nazionali e sovranazionali come la cronica difficoltà di reperire siti di stoccaggio o l’inadeguatezza della legislazione di alcuni paesi esteri, che hanno determinato implicitamente condizioni favorevoli all’insorgere ed al consolidarsi di atteggiamenti criminali. «Un esempio di queste congiunture – ha aggiunto Tarantino - è stata la chiusura del mercato cinese all’importazione di imballaggi e materiali riciclabili in genere (sono 24 le tipologie di materiale inizialmente bandite) che con l’intasamento dei magazzini delle ditte del settore, private di sbocchi sul mercato, situazione che è stata ulteriormente aggravata dai cali dei livelli produttivi globali derivanti dalla pandemia da Covid-19. Senza entrare nel dettaglio di ciò che sta emergendo, si può certamente affermare che, come spesso avviene, in situazioni di crisi di carattere economico si creano degli spazi che vengono occupati dalla criminalità, ed è ciò che si sta verificando anche in materia ambientale».
Alla ricerca di scorie lungo la fiumara Tuccio e i precedenti in Aspromonte e nella Piana
Aspromonte, Piana di Gioia Tauro e per ultima l’area Grecanica della provincia reggina. In Calabria fin dagli anni ‘90 non si è mai smesso di cercare discariche di rifiuti tossici e radioattivi. Ne hanno parlato i pentiti, presunti supertestimoni, servizi segreti, con tanto di nomi dei presunti organizzatori nelle fila della ‘ndrangheta e luoghi dove sarebbero stati sotterrati; relazioni interne del Ros dei Carabinieri. In alcune di quelle aree, come per esempio nel comune di Africo, si era notata un’incidenza di tumori molto superiore alla media, in assenza di apparenti agenti inquinanti. Una prova per alcuni, poco però per affermare con sicurezza che la Calabria sia stata per un lungo periodo la discarica d’Italia. Non si sa chi sia stata la fonte che ha indirizzato sul finire dello scorso anno Carabinieri, Vigili del fuoco e Arpacal lungo la fiumara Tuccio nell’area del comune di Melito Porto Salvo.
Paesi africani, Europa dell’Est e la Cina. Ecco le rotte dello smaltimento illecito
Africa, paesi dell’est Europa, la Cina. Le rotte dello smaltimento illecito dei rifiuti non conoscono confini. È una partita che si gioca a livello mondiale e nella quale gli investigatori lavorano per individuare le tante tratte internazionali di rifiuti. Nel 2020, ad esempio, si è scoperto come apparecchiatura elettronica ancora funzionante, era stata classificata come rifiuto, per poi essere rivenduta su canali esteri come Senegal, Burkina Faso, Nigeria, Marocco, nonché Turchia e Siria. Il 20 maggio 2024 è entrata in vigore una nuova normativa europea sul trasporto transfrontaliero di rifiuti: prevede regole più severe sulle esportazioni di rifiuti al di fuori dell'Ue e mira a favorire il riciclaggio all'interno degli Stati membri. Sull’applicazione della nuova normativa sovrintende l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf).
«Brucia tutto e nascondi le tracce». Così si risparmiano milioni di euro
Brucia tutto, nascondi le tracce e risparmia una montagna di soldi. L’attenzione delle forze di polizia che si occupano di reati ambientali, con il Noe dei Carabinieri in prima fila, negli ultimi anni si è concentrata sul fenomeno dei roghi di rifiuti. In tutta Italia infatti, a partire dal 2016, ha assunto sempre maggiore rilevanza il fenomeno degli incendi di natura dolosa ai danni di impianti dediti (a vario titolo) alla gestione dei rifiuti, spia di una sintomatica e diffusa speculazione criminale che riguarda il business dei rifiuti. Non si tratterebbe del “classico” tema della combustione illecita, quanto di un’interdipendenza tra eventi incendiari e mancata corretta chiusura del ciclo dei rifiuti. «Dal punto di vista operativo – ha spiegato Tarantino – le attività condotte dai Noe dei Carabinieri hanno dimostrato, in linea con quanto più volte sostenuto dalla Procura nazionale antimafia, come tali fenomeni possano essere inquadrati, più che nell’ambito di dinamiche riconducibili alla criminalità organizzata di stampo mafioso, come spia della sussistenza a monte di importanti traffici illeciti di rifiuti. Le imprese (criminali) di settore, infatti, per evidenti ragioni connesse con lo spregiudicato perseguimento di profitti illeciti, acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti ignorando scientemente quanto previsto dalle autorizzazioni e anche a prezzi fuori mercato, omettendo di sottoporli ai necessari trattamenti, avviando così a smaltimento e/o riciclo materiali “intonsi” ai quali, attraverso la nota tecnica del girobolla vengono assegnati codici “Eer” (i codici dell’Elenco europeo dei rifiuti) del tutto fasulli. La esasperazione illecita di queste condotte comporta, al fine di tagliare a monte la filiera dei costi nonché di evitare i controlli delle autorità preposte ed il rischio di essere soggetti agli oneri di bonifica, l’eliminazione a mezzo fuoco dei materiali giacenti».
Senza le risorse le bonifiche restano solo un miraggio
In terra di ‘ndrangheta indagare sui veleni e sui danni provocati non solo all’ambiente, ma anche all’economia sana, dai predatori del territorio avidi di profitti ad ogni costo, non sempre suscita l’attenzione che dovrebbe. Specie in chi le conseguenze di certi circoli viziosi le vive sulla propria pelle, magari senza neanche accorgersene. Lo sanno bene magistrati come Camillo Falvo e Salvatore Curcio che, prima di approdare alla guida delle Procure di Vibo Valentia e Lamezia Terme, di ‘ndrangheta si sono occupati molto e anche lasciando il segno, per poi ritrovarsi ad avere a che fare con territori dalle potenzialità uniche ma deturpati e piegati a interessi tutt’altro che leciti. Falvo, per esempio, appena arrivato a Vibo si è concentrato sui crimini ambientali anche perché si è subito ritrovato con un ex sito industriale dismesso a Porto Salvo, una delle frazioni marine della città, risultato il terminale di un traffico di rifiuti provenienti dalla Campania.