La recente aggressione al primario del Pronto soccorso di Lamezia Terme è probabilmente solo la parte più evidente di un problema gigante. E che investe il sistema-sanità in senso più ampio. Se gli ospedali sono presi d’assalto, è perché il sistema della medicina territoriale fa acqua da tutte le parti. Un esempio su tutti: in pochissimi vogliono fare il medico di medicina generale, mentre i pazienti che ognuno ha in carico spesso sono troppi, arrivano (come ricordato di recente sul Corriere della Sera) fino a 1.800, anche se il massimale è fissato a 1.500. In queste condizioni è oggettivamente difficile garantire un’assistenza degna di questo nome. Una condizioni difficile, quasi proibitiva, se si considerano i piccoli paesi delle aree interne calabresi dove gli ambulatori - se va bene - sono aperti solo qualche giorno a settimana. Così il paziente si trova di fronte a un camice bianco che raramente lo visita ma gli prescrive solo medicinali o ulteriori controlli.
Pronto soccorso “passepartout” E qui si arriva al secondo “imbuto” del sistema: le liste d’attesa per visite ed esami diagnostici sono estremamente lunghe. Roba di alcune settimane, nel migliore dei casi. Chi ha bisogno di cure, dunque, si rivolge ai Pronto soccorso. E anche se passeranno alcune ore ad aspettare, spesso anche un’intera giornata, alla fine qualcuno li visiterà, farà un prelievo o un esame e poi prescriverà una cura. Tutto gratis, o magari pagando un ticket si è classificati come “codice bianco”.
La verità è che i cosiddetti “codici bianchi” in ospedale non dovrebbero proprio arrivarci. Le prestazioni erogate nei confronti di questi pazienti sono definite “improprie”. Per capire la portata del fenomeno, è utile fare riferimento ai dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), che mostrano come nel 2023, su 18,5 milioni di accessi nei 615 Pronto soccorso italiani (più 7% rispetto al 2022), 12,4 milioni sono “codici bianchi” e “codici verdi”, dunque con problemi di salute lievi. Di questi 12 milioni, almeno 4 sono definiti «accessi impropri», ossia evitabili se ci fosse una rete territoriale reale.
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