La Calabria scivola velocemente verso un margine pericoloso. Gli scenari che si combinano all’interno dei report dell’Istituto di statistica di Stato disegnano una terra che invecchia e non fa figli. L’inverno demografico graffia in tutto il Meridione ma qui la crisi delle culle è più marcata. E non solo. Nel 2023 ci sono stati più morti che nati con un tasso negativo di crescita naturale di - 5,31 (differenza tra indice di natalità a 7,2 per mille e tasso di mortalità a - 11,7 per mille. Del resto, i riflettori sulla denatalità sono accesi, ormai, da anni. Un problema per l’Italia, una emergenza attuale e futura per il Sud e per questa regione in particolare. Il desiderio di avere figli per le coppie meridionali continua a sfumare davanti all’incertezza economica. E i diagrammi demografici non crescono più, sprofondano. In Calabria, all’inizio del 2024, vivevano 1.838.150 abitanti. Rispetto al 2023 (con una popolazione di 1.846.610 persone) sono “spariti”, dunque, 8.460 residenti. Prima della pandemia (nel 2019), in Calabria vivevano 1.912.021 individui. Da allora mancano all’appello ben 65.411 abitanti. In pratica, un’intera città è stata cancellata dall’azione combinata di flussi negativi provenienti dal tasso migratorio totale e dai valori della crescita naturale della popolazione.
La Calabria continua a sparire, perdendo porzioni di residenti, di figli che cercano al Nord con il lavoro anche la speranza in un futuro migliore. Una fuga da una terra schiacciata dalla disoccupazione e dalla oppressione della ’ndrangheta. Lo avevano già fatto i contadini dopo il fallimento della riforma fondiaria, lo fanno adesso i ragazzi che corrono dietro ai loro sogni. È la triste vicenda meridionalistica, una questione rimasta irrisolta, sia per l’assenza di un vero disegno politico, sia per una storica insufficiente dotazione di infrastrutture funzionali, scientifiche, sociali e fiscali, capaci di abbattere il dualismo tra le due Italie. E l’avvento dell’Autonomia differenziata rischia di dilatare irrimediabilmente lo squarcio.
Il problema dell’invecchiamento comincia a preoccupare i governi europei che non possono più trascurare l’invecchiamento della popolazione. L’Italia è stata trasformata in un hub scientifico internazionale sullo studio dell’invecchiamento col programma Age-It. Del resto, per troppo tempo, abbiamo ignorato i nonni. Per loro, nessun rispetto e considerazione. Li abbiamo visti esclusivamente come un costo sociale, come rami secchi all’interno di improbabili sistemi produttivi. E li abbiamo abbandonati in fretta alla loro solitudine. I nonni sono diventati simbolo d’una vita che sbiadisce all’improvviso dentro abitazioni che si svuotano dai rumori. In loro è cresciuto quel senso di inutilità che è andato mescolandosi ai cattivi pensieri, non trovando più nessuno disposto ad ascoltare i loro ricordi, a custodire le loro paure a seguirne i suggerimenti. Ma la società cambia, il margine anagrafico tra l’utilità e l’inutilità sociale s’è spostato ben oltre quei 65 anni che un tempo rappresentava il momento della transizione tra quel che eravamo stati e quel che diventavamo. È la riscossa dei nonni.
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