Calabria

Domenica 24 Novembre 2024

Abuso d’ufficio, la Calabria resta divisa

L’“abuso d’ufficio” esce di scena lasciandosi dietro umori differenti. Veleni sulla coda. La riforma ispirata dal Guardasigilli, Carlo Nordio, storico magistrato che da pm diede la caccia alle Brigate rosse, allarga lo squarcio tra le correnti, non solo politiche e nemmeno solo giudiziarie. L’Associazione nazionale dei magistrati ha già parlato attraverso il suo presidente nazionale, Giuseppe Santalucia, che ha definito la legge «un colpo di spugna, una piccola amnistia per i pubblici ufficiali: avremo 3-4mila, o forse di più, imputati che chiederanno la revoca della condanna, una piccola amnistia per i “colletti bianchi”. Da oggi tutti coloro che sono stati condannati per abuso d’ufficio si rivolgeranno al giudice per chiedere l’eliminazione della condanna». Diversa, naturalmente, l’opinione degli avvocati. Ornella Nucci, presidente del Foro di Cosenza, ritiene che l’abrogazione sia conseguenza del fatto che «l’ottanta per cento dei processi, e forse anche qualcosa di più, sia stato definito con l’assoluzione. Quindi, se da un lato capisco che si possa ritenere l’abrogazione del reato come un potenziale spazio d’impunità concesso agli amministratori, dall’altro, invece, ritengo sia stato corretto abrogare una norma concepita secondo un profilo evidentemente carente che ha generato, nella maggior parte dei casi, sentenze assolutorie. Per questo, non posso che non essere favorevole alla cancellazione di un reato difficile da dimostrare in dibattimento. Naturalmente, resta fermo il principio che sia giusto perseguire i comportamenti illeciti degli amministratori. I magistrati? Capisco la loro posizione intransigente. Ma ai processi ci arrivavamo con le indagini fatte dalle procure. E se, poi, i processi, istruiti con le indagini sviluppate dalle procure, non portano a sentenze di condanna è giusto chiedersi il perché. Del resto, il reato di abuso, per come era concepito, teneva in “ostaggio” i politici rispetto a alcuni profili e gli amministratori rispetto ad altri. Si aveva paura di firmare atti d’interesse delle comunità amministrate, senza contare che in molti casi, gli indagati si sono dimessi salvo poi risultare assolti».

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