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A Roma la centrale unica del riciclaggio della 'ndrangheta

Inchiesta della Dda svela l’alleanza con la camorra per pulire i soldi nel settore degli idrocarburi. I soldi dei Mancuso e dei Mazzagatti finivano reinvestiti nella Capitale L’imprenditore intercettato: «A Limbadi sono accolto come un figlio»

È il petrolio a sancire la santa alleanza tra clan camorristici e cosche della ’ndrangheta. Lo sostengono i magistrati della Dda di Roma nell'inchiesta Assedio che ieri ha portato a 18 misure cautelari oltre al sequestro di beni per oltre 131 milioni di euro. Secondo l'ipotesi degli inquirenti a Roma sarebbe stata realizzata una sorta di centrale unica per il riciclaggio dei proventi illeciti delle organizzazioni mafiose. Figura centrale è l’imprenditore romano Roberto Macori. Maturato nella destra eversiva romana, all'ombra di Massimo Carminati, l'ex Nar noto come il “Cecato” passato poi nella banda della Magliana e protagonista dell'inchiesta Mafia Capitale, Macori secondo gli inquirenti è divenuto prima l'alter ego di Gennaro Mokbel, per poi legarsi al boss Michele Senese. L'imprenditore, ora finito in carcere, sarebbe divenuto, nel tempo, il principale referente dei clan nella gestione degli interessi economici nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi. Un settore divenuto un terreno, in cui le organizzazioni mafiose italiane prosperano fino ad assurgere a posizioni dominanti con effetti negativi sull'economia reale. «È emersa – per usare le parole del gip di Roma - l'esistenza di una complessa struttura organizzata. l gruppi della camorra napoletana e casalese, esponenti di clan di 'ndrangheta, esponenti di cosa nostra siciliana, in trent'anni di presenza stabile sul territorio laziale, hanno maturato la capacità di integrarsi in maniera organizzata e strutturata con gruppi di criminalità autoctona». La sintesi la fornisce lo stesso Macori in un’intercettazione: «Con il gasolio ... Mazzarella (fonetico), Mancuso, Pelle ... inc ... tutta la malavita del mondo».

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