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'Ndrangheta, dall’Unical la nuova grammatica anti-clan: i boss tra fede, sport e... Ponte

La Dia ha presentato il suo report semestrale all’università di Cosenza con l’obiettivo di coinvolge sempre di più le forze sane della società civile. I boss fiutano le traiettorie dei fondi pubblici

La ’ndrangheta è una crepa sociale, un piano inclinato su cui si consuma il destino di questa terra. Qui in Calabria, la fede nella vita rimane coperta da paure, angosce e silenzi che condizionano il modo di pensare, di vivere, di tirare a campare. Cose e parole non hanno lo stesso significato fuori dalla porta di casa dove comandano coppole e reggipanza. I miasmi della mafia delle ’ndrine risalgono dalle viscere di questa regione disegnando gli spigoli del rapporto del primo semestrale 2023 della Direzione investigativa antimafia che ieri mattina è stato presentato nella biblioteca “Ezio Tarantelli” dell’Unical, dal capocentro Dia di Catanzaro, il primo dirigente Beniamino Fazio. Un luogo simbolo, dove la crescita è saldamente blindata nei recinti della legalità. Una comunità scelta per dare speranza a una terra prigioniera delle sue paure. La nuova grammatica antimafia coinvolgerà sempre di più le forze sane della società civile, a cominciare dai ragazzi. E atenei e scuole rappresentano le pietre miliari della civiltà sana.

Il dossier

La bussola che ha guidato il ragionamento degli 007 è rappresentata dalle evidenze dei fatti che raccontano la storia della mafia calabrese che negli anni è diventata sempre più forte e intraprendente grazie al dialogo ravvicinato con la massoneria deviata. Il dossier è una biografia di clan e di nomi, con boss emergenti e capi declinati, interi paesi occupati e tanti denari. Soldi incassati dal narcotraffico che hanno trasformato la ’ndrangheta in una holding potentissima con una espansione transnazionale. Oggi i boss investono esclusivamente nelle regioni più ricche del Nord Italia, e all’estero, dove hanno riprodotto i loro sistemi di potere. I mammasantissima hanno stretto rapporti con i cartelli della cocaina del Centro e del Sudamerica (Colombia, Brasile, Ecuador, Messico e Panama) e con organizzazioni paramilitari attive nel settore come il clan del Golfo in Colombia. E nuovi interessi e nuovi affari sono nati negli Stati Uniti e nel Canada.
Le rotte del narcotraffico Il capo dei superdetective catanzaresi, Beniamino Fazio, ha spiegato come la ’ndrangheta sia diventata «un partner privilegiato, affidabile e autorevole, negli ultimi trent’anni per i vari partner internazionali. Relazioni che permettono di veicolare ingenti quantità di droga, attraverso il porto di Gioia Tauro. E lì, solo nel semestre in esame, sono stati rinvenute sequestrate tre tonnellate e mezzo di cocaina che rappresentano, sicuramente, una minima parte rispetto allo stupefacente che è finito sui vari mercati d’interesse. Negli ultimi anni, i boss hanno ampliato le rotte dei loro traffici esplorando il Sud del mondo. Sono nati così interessi in Costa d’Avorio, in Guinea-Bissau, in Ghana e, più recentemente, anche in Libia, dove sembrano concentrarsi gli interessi dei narcos».

Il federalismo dei boss

La ’ndrangheta ha invertito da tempo le logiche dell’autonomia differenziata. Nelle regioni più ricche del Nord comandano i boss calabresi. Il primo dirigente Fazio ricorda i territori nelle mani delle cosche: «A Milano abbiamo la presenza certificata dei Bellocco, in Emilia Romagna comanda la provincia di Crotone, a cominciare dai cutresi, giusto per citare qualche esempio. Ma è tutto il Settentrione ad essere colonizzato dai clan calabresi, ogni territorio è governato da una famiglia».
Cosche imprenditrici Secondo Fazio, coppole e reggipanza calabresi seguono con attenzione le scie dei soldi, guardano ai fondi pubblici, studiano meccanismi per appropriarsi di enormi ricchezze destinate alla collettività. «Già da tempo la ’ndrangheta ha dimostrato di saper intercettare opportunità e di approfittare delle criticità ambientali per trarne vantaggio, perseguendo una logica di massimizzazione dei profitti e orientando gli investimenti verso ambiti economici in forte sofferenza finanziaria. Nell’attuale fase di ripresa economica, la soglia di attenzione delle istituzioni è particolarmente concentrata sul rischio di accaparramento da parte dei clan di fondi pubblici stanziati per il perfezionamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Proprio per questo recentemente il ministro Piantedosi ha potenziato la rete dei controlli all’interno delle Prefetture, gruppi interforze creati per contrastare le strategie criminali».

Il business dei grandi eventi

L’attenzione dei superdetective antimafia è altissima anche sui grandi eventi che saranno organizzati in Italia. I boss guardano ai Giochi olimpici e paralimpici di Milano-Cortina in calendario nel 2026. Una grande opportunità di rilancio economico per il territorio ma anche un obiettivo per fare tanti soldi per le organizzazioni criminali. Il primo dirigente Fazio spiega come «si tratti di un pericolo concreto dal momento che proprio sul territorio lombardo, dove più estesa e preoccupante è la presenza delle mafie italiane tradizionali e dove la ‘ndrangheta è presente da anni, tramite numerosi “locali”, con accentuato carattere imprenditoriale e con spiccate capacità di intercettare gli ingenti stanziamenti». Ma c’è anche il business della fede. La ’ndrangheta annusa da tempo le traiettorie di enormi finanziamenti pubblici destinati al Giubileo per l’Anno Santo 2025. «Appare scontato il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese, la cui presenza nell’area della Capitale e delle zone limitrofe è stata confermata anche da recenti operazioni di polizia che hanno disvelato l’operatività nel Lazio delle cosche Gallico, Molè, Piromalli, Morabito, Alvaro e Nirta-Romeo, originarie della provincia di Reggio Calabria, e i Mancuso e i Bonavota della provincia di Vibo Valentia».

I boss salgono sul Ponte

La Dia mette in guardia l’Italia: «I boss vogliono salire sul Ponte che legherà la Sicilia al resto del continente». La mafia delle ’ndrine vuole mettere le mani sulla principale opera che sarà realizzata nei prossimi anni in Italia. Fazio conferma: «Non bisogna sottovalutare gli interessi diretti dei clan, verso i lavori per la realizzazione del ponte. Inchieste del passato hanno già certificato la presenza dei clan nei servizi di traghettamento, lo Stretto di Messina “appartiene” alla ’ndrangheta. Il modello di contrasto agli appetiti delle cosche è quello che è stato realizzato con l’appalto della Statale 106, lavori che valgono oltre un miliardo di euro. L’opera, però, sarà completata entro i tempi previsti e questo è stato possibile alla sinergica collaborazione tra istituzioni e azienda. Una rete solida capace di respingere ogni tentativo di infiltrazione delle ’ndrine. Quando, però, manca analoga attenzione su altre opere perché l’atteggiamento dell’impresa è “opaco” e poco collaborativo, viene meno l’interazione tra vari attori e la lotta alla ’ndrangheta non può essere ugualmente efficace. Se manca la fiducia nelle istituzioni, i clan continueranno a imporre la loro legge».

 

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