Che la Calabria, quando si parla di sanità, sia in controtendenza rispetto ai trend nazionali, non è purtroppo una novità. I freddi numeri rendono però le dimensioni del dramma: nel triennio 2019-2022 il personale del Servizio sanitario nazionale ha continuato a diminuire (-1,9%) – mentre nel resto del Paese aumentava – arrivando alla fine del 2022 ad essere addirittura inferiore rispetto a un decennio prima. Nel 2011 l’organico delle strutture sanitarie pubbliche era di 112,9 addetti ogni 10mila abitanti, undici anni dopo era sceso a 102,4 a fronte di una media nazionale di 123,3. E ciò è avvenuto nonostante durante la pandemia si siano allentati i vincoli di spesa per ricorrere ad assunzioni a termine e a contratti di collaborazione. Il calo, anche questo è noto, ha interessato in modo particolare i medici, ma c’è un’altra carenza che dovrebbe preoccupare non poco chi ha la responsabilità della gestione della sanità pubblica: quella di infermieri, Oss (operatori socio-sanitari) e addetti alla riabilitazione. Perché nel frattempo il Pnrr ha finanziato la realizzazione di nuove strutture di sanità territoriale (ospedali di comunità, case di comunità, centrali operative territoriali e unità di continuità assistenziale) e ciò ha generato un ulteriore fabbisogno di personale che, al momento, manca.
A lanciare l’allarme è il recente dossier di Bankitalia sull’economia calabrese riportando i dati relativi a questo fabbisogno.
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