Gli arresti e le condanne scattati con l’operazione Tisifone del 2018 non avevano placato gli appetiti delle cosche contigue e alleate agli Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. I clan, attraverso “vecchie conoscenze” e nuove leve, erano riusciti a mantenere il controllo del territorio a colpi di usura, estorsioni e traffico di armi e droga. È questo lo scenario ipotizzato dai pm della Dda di Catanzaro, Pasquale Mandolfino, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, nell’avviso di conclusione indagini fatto recapitare alle 28 persone coinvolte nell’inchiesta Garbino.
Il blitz, scattato il 3 ottobre 2023 con 11 fermi eseguiti dalla Polizia, avrebbe fatto luce sugli affari illeciti della presunta ’ndrina dei Maesano-Pullano di Isola. I pm avrebbero accertato da un lato la nascita di «nuova struttura associativa» capeggiata da Fiorello Maesano e Pasquale Morelli. Mentre dall’altro sarebbe emersa l’affermazione del gruppo criminale dei Pullano, con i rami dei “Cacagatti” e “Tifuni”, intenzionato a non perdere il controllo dell’area. All’indomani di Tisifone, la Procura antimafia decise di «approfondire l’evoluzione delle dinamiche criminali che si sarebbero verificate» a Isola, «tra le quali il probabile verificarsi di una staffetta generazionale determinata dal venir meno di capi e affiliati di rilievo decimati dagli arresti». E così, l’attenzione si focalizzò su Fiorello Maesano, considerato esponente di spicco della ’ndrangheta isolitana. Per i magistrati, si sarebbe occupato sia dei proventi da affari illegali per sostenere i carcerati, sia di dirimere i contrasti tra ’ndrine.
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