«È una bellezza viverci, è un paese a 472 metri sul livello del mare che non ha nulla intorno, con una visuale a 360 gradi che si estende su tutto il Golfo di Taranto. Ci sono delle sere terse d’estate che si vedi anche la luce del faro di Taranto... La vista si perde all’infinito e tu ti immergi in una dimensione che è più grande di te».
I numeri posso essere “freddi”, esplicativi di dinamiche e tendenze. Possono, però, anche raccontare sentimenti, legami e speranze. Nel Rapporto 2023 di Migrantes, sui movimenti migratori degli italiani (soprattutto dal Sud) all’estero e non solo, emerge un fattore in controtendenza, cioè l’aumento del numero dei calabresi che hanno deciso di rimanere in Calabria o di farvi ritorno dopo un periodo di lavoro o studio. E uno dei motivi di questi lo possiamo rintracciare nelle belle parole del sindaco della Presila crotonese, tornato da Torino nel suo “paesino dell’infinito” dove il passaggio, il ritmo lento, lo sguardo che può spaziare senza fine ripaga dei tanti svantaggi di vivere in un piccolo centro dell’interno della Calabria.
Una ricerca condotta nel biennio 2021-2022, nella quattro aree pilota (Aipc) della Snai (Strategia nazionale per le aree interne), ha consentito di mettere in evidenza che una quota maggioritaria di coloro che vi risiedono manifesta interesse a restarci e/o sono tornati a viverci dopo periodi trascorsi altrove per ragioni di studio o di lavoro, talvolta anche per ricoprire ruoli dirigenziali nell’ambito dell’amministrazione scolastica o della cosa pubblica.
I dati
Le Aipc in cui è stata realizzata la ricerca sono la Sila e Presila (14 comuni della provincia di Cosenza e Crotone), Reventino-Savuto (14 comuni delle province di Cosenza e Catanzaro), Versante Ionico-Serre (15 comuni delle province di Vibo, Catanzaro e Città metropolitana di Reggio Calabria) e Grecanica (15 comuni della Città metropolitana di Reggio).
A partire dalle interviste realizzare nell’ambito di una ricerca, gli autori del Rapporto hanno proposto una ricostruzione delle motivazioni che spiegano la scelta di tornare a vivere nelle aree interne, utilizzando due punti di vista differenti: quello dei residenti-genitori con figli minorenni e quello dei sindaci. Sono circa 430 i genitori con figli minorenni coinvolti nella ricerca, tra cui persone che hanno fatto esperienze di lavoro e/o di studio fuori dai paesi di residenza che sono tornati. Mettendo a confronto coloro che hanno deciso di restare e quelli che sono tornarti «non emergono particolari differenze - si legge nel Rapporto - se non con riferimento al livello di istruzione: un quinto dei restati ha un livello di istruzione basso, tra i tornati l’85% è in possesso di un livello di istruzione superiore. Sembrerebbe, dunque, che il possesso di un diploma o lo frequenza universitaria siano... risorsa e opportunità per mobilità medio-lunghe finalizzate ad acquisire competenze professionali o titoli di studio spendibili nei contesti d’origine. Il ritorno nei comuni delle Aipc, legato a un progetto di vita familiare che bilancia i fattori che incoraggiano la restanza e quelli che suggeriscono la partenza, di frequenti corrisponde a livelli di generali soddisfazione elevati». Secondo lo studio, infatti, tra i tornati tre su quattro si dichiarano molto soddisfatti o soddisfatti della vita che conducono, per di più «la grande maggioranza dei genitori tornati (80 su 100) dichiara di volere rimanere a vivere nei comuni delle aree interne». Sono differenti i motivi: sicurezza e protezione che offrono i piccoli centri, anche grazie all’aiuto delle famiglie di origine, il legame con la comunità e gli amici, il ritmo lento della quotidianità fino alla qualità dell’ambiente e del cibo. Chi torna più di quelli che sono rimasti, riconoscono la mancanza di servizi sanitari, scolastici e ricreativi, ma concordano sulla possibilità crescere i figli con più serenità.
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