Piove da giorni. Pioverà ancora, annuncia il bollettino del meteo. Acqua, sempre più acqua dal cielo, nero e gonfio dopo mesi di siccità. Ora, però, si teme che le precipitazioni abbondanti possano gonfiare le colline trasformando interi costoni in colate di fango e detriti. L’arrivo dell’autunno mette angoscia in Calabria, terra di dissesti e di disastri. Del resto, è la sua storia. Una narrazione che si è sempre unta di sensi di colpa dopo ogni tragedia. Per questo, la gente che vive qui teme, ogni volta, che il diluvio possa portare il buio. Sono soprattutto i borghi aggrappati alle montagne a diventare insicuri dopo ogni tempesta, dopo ogni perturbazione. Frane e smottamenti nei centri abitati e lungo vecchie e nuove strade hanno un legame stretto con la regione delle grandi emergenze. È già successo in passato tante volte. Catastrofi ambientali che molte volte hanno cambiato la storia di interi paesi. In questa porzione di Calabria, in particolare, ogni paese, ogni città presenta una porzione variabile di territorio minacciato dalla natura. E quello che è accaduto nelle ultime ore in Liguria e in Toscana è successo molte volte qui, e sempre allo stesso modo all’interno di questa enorme zona rossa a rischio idrogeologico e di pericolosità di frana che comprende, in pratica, tutti i comuni.
L’esperto. Il rettore emerito dell’Unical, Gino Mirocle Crisci, scienziato che studia la terra e i suoi affanni, conferma la fragilità della Calabria: «Questa è una regione geologicamente giovane. Anzi, i fenomeni che la riguardano sono ancora in atto. La Calabria è tutta in sollevamento e ogni sua parte si solleva con velocità diverse. E ciò crea sforzi con accumulo di energia che generano eventi sismici. Questa è una regione non in equilibrio geomorfologico e dunque soggetta a rischio di frane e di dissesti. Anche la sua forma particolare di lama, un arco che finisce per subire direttamente l’effetto delle perturbazioni che arrivano sempre dalla zona tirrenica e scaricano sull’asse appenninico. Oggi, però, non viviamo nell’ignoranza. In teoria, potremmo preveder ciò che succede. Ciò impedire che in certe aree si costruisca. Ma ciò non accade quasi mai. Si interviene solo dopo un disastro».
Le amnesie dell’uomo. Il professor Crisci rinuncia a perseguire il clima estremo come unico responsabilità. «La geologia ci dimostra che certi fenomeni si sono già verificati nella storia. La differenza col passato è che i nostri avi non erano pronti, non avevano certamente gli strumenti di difesa di cui disponiamo oggi, e, soprattutto, abbiamo la conoscenza. Ho sempre fatto notare come le frane investano sempre aree di nuova edificazione. I centri storici raramente sono stati interessati da processi di erosione o di disastri naturali. E ciò è successo perché i nostri antenati avevano capito come comportarsi con la natura, soprattutto col tipo di natura con cui abbiamo a che fare qui, bisogna sapersi comportare. E, infatti, i borghi sono tutti lì. I problemi, invece, si verificano nelle aree edificate in tempi recenti perché l’uomo dimentica presto. E così succede che si facciano cose che non andrebbero fatte, si costruisce dove non si dovrebbe. La natura ha le sue regole e le applica. Quando c’è un eccesso di piovosità, ad esempio, è normale che ci possa essere la tracimazione di un corso d’acqua. E, allora, come ci si difende? Creando delle zone di alluvionamento che consentano alle acque di raccogliersi senza fare danni verso le infrastrutture e gli abitati. Sono sistemi di difesa che limitano i disastri. Insomma, si può fare davvero tanto per evitare di trovarsi nei guai in situazioni estreme. Bisognerebbe cominciare a pensare che con la natura non si scherza, si adegua alle proprie regole. Sta a noi non essere presuntuosi. Ma non si tratta di vendetta della natura. La responsabilità è dell’uomo che non evita la costruzione di case vicino ai fiumi, non tiene gli alvei dei fiumi puliti, tomba i corsi d’acqua per abbellire le città. Non si può incriminare il clima estremo».
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