Il Mare Nostrum sta male. Le sue acque sono tristi, oltraggiate dall’uomo, assediate da sostanze inquinanti e dai cambiamenti climatici. E soffre. Soffre di una malattia misteriosa che turba e rende meno mistico lo spettacolo di una natura che si alterna lungo le coste di questa nostra terra. Colori, forme, odori. È il miracolo di quello che, nonostante tutto, resta il mare più bello d’Italia con i suoi 788,92 chilometri di meraviglie che costituiscono il 10% dell’intero patrimonio nazionale. Un mare che qui è miniera d’oro ma anche un inferno da quando si sono spalancati nell’ecosistema marino pericolosi squarci da cui si scorgono le porte dell’inferno. L’anima di queste acque è diventata rabbiosa e buia, sporcandosi di opacità e riempiendosi di pustole brune che galleggiano e s’ingrossano seguendo la corrente. L’allarme lo aveva lanciato in estate il professor Silvio Greco, capo della stazione zoologica “Anton Dohrn”, segnalando un mare malato a causa dei tanti scarichi abusivi sul litorale. Soprattutto, su quello tirrenico. Una scintilla, il primo fuoco. Subito dopo il governatore Roberto Occhiuto avviò la caccia agli impianti “fuorilegge”. Una operazione condotta con l’uso di droni e di imbarcazioni per la pulizia delle acque. Un meccanismo di sorveglianza attiva che ha consentito di stanare gli abusivi e ridurre quelle chiazze scure e maleodoranti che sporcano il mare. Certo, la strada resta in salita con il 40% delle abitazioni calabresi che non sono collettate. I Comuni collaborano, ma, evidentemente, la spinta non è ancora sufficiente per rimuovere le incrostazioni di un passato scontroso e senza regole.
L’Unical in soccorso
Il Dibest dell’Unical non è rimasto insensibile a quell’urlo di dolore del Mediterraneo. Il professore Giuseppe Passarino è lo scienziato a capo del dipartimento che si occupa della ricerca scientifica in mare. Ha stretto accordi con enti, ha promosso seminari, ha avviato ricerche mettendo in campo le migliori risorse umane dell’ateneo. «La nostra attenzione verso il mare è massima. Abbiamo in corso diverse iniziative come la convenzione con la stazione zoologica di Amendolara. Poi, abbiamo da poco inaugurato un presidio a Corigliano Rossano. Il Dibest ha aperto un laboratorio proprio all’interno del mercato ittico di Corigliano che già funziona e che presto sarà ulteriormente rafforzato in collaborazione con il Comune. Ciò che abbiamo visto è che in quella zona il riscaldamento globale ha modificato le abitudini dei pesci dal punto di vista della riproduzione per cui i vecchi periodi di fermo biologico che sono stati pensati e attuati in passato non sono più attuali e quindi andranno modificati. Su questo stiamo interagendo con le istituzioni e con l’Unione europea per portare i nuovi dati e quindi per cercare di capire meglio l’ambiente marino, adattando le leggi ai cambiamenti in atto. Il monitoraggio durerà un anno e, alla fine, noi, come Unical saremo in grado di portare i nostri dati per consentire, finalmente a Bruxelles, si aggiornare la situazione reale e non più come frutto di interpolazioni tra Campania e Sicilia». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria