«Non che fanno tutti gli urtati pure, mi chiamano “quello lì” a me! Oh brutti cosi bastardi, che vi tiro la testa io, pezzi di m... che non siete altro!». A parlare così era Tommaso Scalzi, 54 anni, pluripregiudicato, finito in carcere con l’operazione Karpanthos, riferendosi al “voltafaccia” degli amministratori di Cerva, compreso il sindaco Fabrizio Rizzuti. «Quando mi telefonavano non ero mafioso, prima delle elezioni - si sfogava l’indagato - dopo che, appena hanno vinto, non mi chiamano più, hai capito?...che se ero mafioso prima...se sono mafioso mo’, ero mafioso pure prima... Non obbligo nessuno ad essermi amico, però nessuno deve venire a cercarmi». Insomma, Scalzi era infastidito dall’indifferenza ostentata da chi lui sosteneva di aver aiutato a vincere le elezioni. Davanti agli inquirenti, che lo avevano ascoltato a sommarie informazioni assieme all’assessore Raffaele Scalzi, il sindaco negò di avere rapporti di amicizia con Vincenzo Antonio Iervasi, nonostante fosse emerso che i due avessero avuto diversi contatti, mentre si dimostrò consapevole della caratura criminale di Scalzi. Alla domanda su cosa potesse riferire di Scalzi, Rizzuti rispose che «lo stesso vive a Cerva con la madre ed il fratello Saverio; è quasi sempre da solo e di tanto in tanto si accompagna con Elia Ivan. So che ha un trascorso giudiziario particolare e che è stato condannato per mafia. Non l’ho visto mai con altri soggetti di particolare spessore mafioso, tipo i Bubbo di Petronà e gli Iervasi di Cerva».
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