Giornata di interrogatori di garanzia per gli indagati finiti nell’inchiesta denominata “Declino”. Tra le accuse contestate, oltre all’associazione mafiosa, anche quella di avere favorito e protetto la latitanza del giovane boss di Rizziconi Domenico Crea, arrestato a Ricadi nel Vibonese il 2 agosto del 2019, dopo oltre 4 anni di latitanza. I primi a sfilare davanti al gip distrettuale sono stati i rizziconesi Domenico Pillari e Giovanni Pillari, padre e figlio difesi dall’avvocato Lorenzo Gatto, che hanno risposto alle domande del gip distrettuale. Secondo quanto appreso alla fine dell’interrogatorio, i due avrebbero dato un’ampia giustificazione rispetto alle accuse che gli vengono mosse dalla Dda di Reggio Calabria. I due Pillari hanno ammesso di conoscere alcuni degli indagati, con alcuni dei quali sono anche parenti. Padre e figlio, però, hanno escluso di conoscere quelli di Limbadi, vale a dire Pasquale Gallone e il boss Luigi Mancuso. Riguardo a quest’ultimo, Domenico Pillari avrebbe sostenuto di averlo conosciuto attraverso altre persone a Limbadi per una questione di lavoro, ma che non sapeva di chi si trattasse. Difesa strenua anche contro l’accusa di favoreggiamento della latitanza di Domenico Crea. Accusa che avrebbero rigettato. In particolare, Domenico Pillari avrebbe spiegato al gip che essendo stato già coinvolto e condannato per la latitanza del padre di Domenico Crea, il boss Teodoro Crea, non avrebbe commesso lo stesso errore per due volte. Secondo i magistrati, i Pillari avrebbero fornito «ausilio ed appoggio all’allora giovanissimo Teodoro Crea, successivamente tratto in arresto nel corso dell’operazione Nuova Narcos Europea, interponendosi nelle trattative di compravendita dei terreni storicamente condizionata dai diktat mafiosi». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria