Il leit-motiv è sempre lo stesso. E poco importa se siamo nel Cosentino, o nel Catanzarese, o nel Vibonese e in altri territori ancora. E non è neanche un tema che riguarda solo la Calabria, anzi. E' un "malcostume" vigente in Italia: è quello di sfruttare, nella maggior parte dei casi, i lavori stagionali e/o comunque i lavoratori che operano nel campo della ristorazione (bar, ristoranti, pizzerie, alberghi, lidi balneari e altro ancora). Gli imprenditori fanno fatica a trovare personale, ma è davvero colpa del reddito di cittadinanza o è colpa di un universo giovanile che non ha voglia di "sgobbare"? La risposta a questo interrogativo non può essere certamente univoca perché sono tante le sfaccettature da analizzare e studiare. Ma è chiaro che esiste un tema ed è quello di un mondo in cui molti giovani, ma non solo, lavorano parecchie ore al giorno senza avere un'adeguata retribuzione rispetto alla mansione svolta e al carico di lavoro. Per non parlare poi di chi ancora si avvale della collaborazione di personale totalmente in nero. I controlli negli ultimi anni, da parte di Ispettorato del Lavoro, Guardia di finanza e altre istituzioni, si sono intensificati, ma c'è da fare ancora molto.
Abbiamo provato a sentire la storia di quattro lavoratori. Maria, Marta, Ludovica, Domenico (quattro nomi di fantasia) che hanno accettato di raccontare le loro "disavventure" ai nostri microfoni in forma anonima.
"A ca sempri a li sordi pensati voi giovani"
"In un pub di Cosenza per 8-10 lavorative sono stata pagata 30 euro a serata. La serata - racconta Maria ai nostri microfoni - iniziava alle 17 e andava avanti fino a chiusura. Per i titolari dei pub la chiusura non ha un orario preciso, si tirava anche fino alle 02:00, 02:30. Stessa cosa in un bar dove si iniziava alle 6 di mattina e si finiva intorno alle 18 con il periodo di prova neanche retribuito. Ma la cosa più grave è scaturita da situazioni un po' imbarazzanti perché il titolare faceva delle battutine e delle frecciatine sulla situazione dell'essere donna. Tipo mi chiedeva di sbottonare un po' di più la camicetta in modo tale da provare a vendere oltre al caffè anche un cornetto in più. Oppure nel momento in cui mi mandava a portare i caffè ai vari clienti che dagli uffici avevano chiamato, al mio chiedere se dovevo indossare o meno la divisa da lavoro dove si riconosceva il bar dove lavoravo (poiché ero a nero molte volte voleva che non lo indossassi), la sua risposta è stata che potevo andare anche nuda così che magari potevano richiamare per richiedere un aperitivo e far guadagnare il bar. Anche quest'anno mi sono ritrovata a fare dei colloqui un po' strani: per esempio qui vicino c'è una piscina dove mi ero candidata per lavoro di animazione, ma poi mi hanno chiesto se sapevo lavorare in cucina. Per me non c'era problema, ma quando ho chiesto la situazione a livello retributivo la risposta è stata: "A ca sempri a li sordi pensati voi giovani" e lì per lì ci sono rimasta un po' così e ho risposto: né con il sangue, né con la gloria si pagano le tasse.
"All'ispettorato del lavoro mi hanno detto che in Calabria non funziona niente"
"Nel 2018 sono andato a cercare lavoro in un agriturismo. Mi hanno assunto - racconta Marta - per pulire le camere e il giardino, dalle a8 alle 16. Ma poi mi hanno messo a lavorare nella produzione di marmellate, a cucinare per loro e per qualche cliente. Arriviamo al 2022 e chiedo l'aumento e chiedo di lavorare normalmente: non di lavorare per 102 giornate e invece lavoro per 350 e questi signori mi hanno licenziato in tronco. Mi sono rivolta all'ispettorato del Lavoro, ma sembra che sia colluso con loro perché mi hanno detto che io voglio cambiare la Calabria, ma in Calabria non funziona niente e non hanno ancora sentito dieci testimoni che io ho portato. Da febbraio ne hanno sentito solo due e li hanno sentiti in un parcheggio, neanche in ufficio. Io non so più a chi rivolgermi, ma non mi voglio fermare. La Calabria deve cambiare".
"Per anni, sfruttata e sottopagata in nero. Poi sono diventata mamma e ho detto basta"
"Sono stata sottopagata e sfruttata per diversi anni - sottolinea Ludovica - con la promessa che avrei avuto un contratto. Ho fatto la cameriera, la cuoca. In nero, con tutti i rischi del mestiere: senza diritti, senza nessuna garanzia per pochi centinaia di euro dalle 10 alle 12 ore al giorno di lavoro. Per tanto tempo ho deciso di non lavorare, poi la vita mi ha regalato una splendida bimba. Da quando sono mamma ho deciso di dire basta dopo aver ricevuto altre offerte di lavoro. Ovviamente il lavoro non me l'hanno dato con un contratto: se vuoi lavorare le condizioni sono queste, in nero, sfruttata e sottopagata. Il lavoro è un diritto, fare la cameriera è un lavoro umile e dignitoso e va retribuito e vanno garantito i diritti. Non ho avuto la maternità, nessun tipo di agevolazione e l'ultimo ristorante in cui ho lavorato ha chiuso a causa del Covid. Io sono anche cuoca di primo livello, ma non ho mai avuto un contratto di lavoro come cuoca e non ho potuto aumentare il mio livello"
"11 anni di sofferenze, lo Stato ci aiuti a combattere la guerra del lavoro in nero"
"Da 11 anni lavoro nel settore alberghiero. Ho sempre fatto ristorazione - è la testimonianza di Domenico trentenne che lavora nell'area dell'Alto Cosentino - anche perchè vengo dalla scuola alberghiera. Mi ricordo la prima volta: lavoro a chiamata, evento con mille persone circa e 20 camerieri compreso me a lavorare per 60 euro. Passano gli anni e incomincio a scoprire che in questo mondo c'è una visione di schiavismo e sfruttamento. Non è solo una questione di paga, ma è una questione di vessazioni subite. Quando lavori in nero accetti questa situazione e loro hanno sempre il coltello dalla parte del manico. La domanda che mi faccio sempre e che non mi fa dormire la notte è: ma come si fa da 30-40 anni a sopportare questa situazione con matrimoni, banchetti ed eventi con camerieri come me a chiamata?. Io non lo faccio per extra, questo è il mio lavoro. Io cerco di dare sempre l'anima e tutto me stesso e spesso di questa disponibilità se ne approfittano. Spero finisca questo modo di fare perchè siamo noi giovani classe 90' che ci stiamo andando sotto. Non è facile lavorare in questo mondo, molti fanno finta di non vedere. E' inumano lavorare 16-18 ore al giorno per un extra prefissato con un contratto verbale. In questi anni ne ho visto di tutti i colori, però la politica dovrebbero aiutare le persone come me che stanno combattendo questa guerra. Non so come trovare un equilibrio nella mia vita, non è colpa nostra. E' colpa del sistema: l'ispettorato del Lavoro deve intervenire e dire a questi imprenditori che la giornata debba essere retribuita in modo onesto. Non abbiamo diritti, lavoriamo in nero spaccandoci la schiena. Questa storia sta andando avanti per troppi anni".
Caricamento commenti
Commenta la notizia