Il fascino diabolico del male. E la voglia di una donna di diventare ‘ndranghetista, di essere ritualmente affiliata, di partecipare alle riunioni, di comportarsi come i maschi e avere i loro stessi “diritti” criminali, di ottenere un “grado” nella gerarchia della cosca. Un sogno rimasto irrealizzato, un desiderio incompiuto. Anna Palmieri, cosentina, è la moglie di Celestino Abbruzzese, detto “micetto”, figlio d’arte, impegnato in lucrosi traffici di droga e pienamente inserito nelle dinamiche della criminalità nomade attiva tra Cosenza e Cassano. Vendita di stupefacenti, estorsioni: gli zingari esercitano un ruolo significativo nell’area settentrionale della regione. Le inchieste della Dda di Catanzaro dimostrano come governino in accordo con personaggi della ‘ndrangheta tradizionale intere porzioni di territorio tra Sibari, Corigliano Rossano, Cassano, Trebisacce, Villapiana. Non solo: nel capoluogo bruzio la criminalità nomade è confederata con le famiglie storiche della mafia calabrese. Nella Sibaritide comandano gli Abbruzzese, nella città capoluogo i cugini “banana”. E la Palmieri, sposata con un “predestinato” come Celestino, con cui divideva scelte e soldi, aveva chiesto di essere “battezzata”. E il marito non l’aveva presa bene. È lei stessa a raccontarlo ai magistrati antimafia guidati da Nicola Gratteri. «Non sono mai stata formalmente affiliata alla 'ndrangheta. Tuttavia agli del 2014 mi proposi, insieme a Marco Paura, a mio cognato Antonio Abbruzzese, fratello di mio marito Celestino, per affiliarmi formalmente. Ciò in quanto temevo che se mio marito fosse stato arrestato, in assenza di una formale affiliazione, non avrei potuto avere voce in capitolo su tutto ciò che riguardava l'attività criminale dell’uomo con cui sono sposata. Quando mio marito venne a sapere di questa mia volontà, ci fu un'accesa discussione tra noi due, poiché lui era fermamente contrario alla mia affiliazione, che mi avrebbe costretto ad eseguire ogni tipo di ordine, anche di tipo omicidiario che fosse arrivato dalla cosca. Ricordo anche che Celestino, per la rabbia di aver appreso di questa mia intenzione, tirò un pugno al frigorifero e subì una frattura al quinto metacarpo di una mano. In ogni caso la mia intenzione di affiliarmi era ferma al punto tale che dissi ad Antonio mio cognato che, se si fosse rifiutato di affiliarmi, io e Marco Paura ci saremmo rivolti ai Muto di Cetraro. Specifico inoltre che, per avere una formale affiliazione, occorreva avere l'assenso della “società”, ovvero dei componenti della famiglia, quindi nel caso specifico, i cassanesi avrebbero dovuto dare anche il loro assenso». Anna Palmieri voleva far parte della “società” insieme con un componente del gruppo guidato dal marito Celestino, Marco Paura, ma non ebbe successo. La cosa singolare è che sia lei che il marito così come Paura oggi sono collaboratori di giustizia. I desideri, evidentemente, con il trascorrere del tempo cambiano… Nella ‘ndrangheta calabrese non risultano ufficialmente affiliate delle donne. Ve ne sono tante condannate con sentenza passate in giudicato per mafia a Seminara, Gioia Tauro, Oppido Mamertina me nessuna di loro risulta essere stata “iniziata” nel nome di Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Neppure Nella Serpa, per un periodo “reggente” dell’omonimo storico clan di Paola, condannata però in via definitiva all’ergastolo per omicidio.