Il mare più bello d’Italia è in Calabria, con le sue spiagge sempre più fasciate dalle bandiere blu, i suoi 700 chilometri di coste che rappresentano il 10% dell’intero patrimonio nazionale, le sue calette naturali. Il Tirreno è una delle meraviglie sulla terra, un cono ricco di luci e di colori dove storia e leggenda si combinano all’interno di percorsi secolari. Ma negli ultimi 10-15 anni, in particolare, l’uomo ha rovesciato gli equilibri dell’ecosistema rovinando la bellezza di questo simbolo dell’orgoglio del turismo calabrese. Tra gli spicchi di paradiso continuano a spalancarsi squarci sterminati da cui si scorgono le porte dell’inferno. L’anima di queste acque è diventata rabbiosa e buia, sporcandosi di opacità, chiazze scure e maleodoranti. Un mare triste, solitario, oltraggiato da depuratori che non depurano come dovrebbero e da rifiuti abbandonati ovunque, dai tanti scarichi abusivi. Un mare che si sta ammalando di una malattia strana, che si riempie di pustole brune che galleggiano e s’ingrossano seguendo la corrente. La colonna sonora delle domeniche sul Tirreno è scandita, ormai, dalle solite urla dei bagnanti, costretti a guardare il mare da lontano, senza poterlo neppure sfiorare. E puntualmente le associazioni e i movimenti raccolgono decine di segnalazioni di gente che narra la tristezza della resa. Da Tortora a Gioia Tauro, gli sguardi (e le lamentele social) sembrano essere tutti uguali.
L’analisi
Il capo della Stazione zoologica “Anton Dohrn”, Silvio Greco, che è il più importante ente di ricerca marino del continente, sembra non avere dubbi sull’origine delle cicatrici che si aprono sui fianchi del Tirreno: «Abbiamo già descritto il fenomeno lo scorso anno. L’unica differenza è rappresentata dal fatto che lo scorso anno a giugno non ha piovuto. Per il resto, purtroppo, la situazione è rimasta invariata, nonostante gli sforzi messi in campo dalla Regione e dalla stazione zoologica, in collaborazione con l’autorità giudiziaria e le forze dell’ordine. In realtà esiste il problema del mancato collettamento di intere aree comunali. E col maltempo, in mare arriva di tutto».
Le indagini scientifiche
Lo scorso anno, attraverso rilievi con termoscanner, acquisizioni satellitari, prelievi della nave oceanografica e attività sul campo, il professore Greco e i suoi ricercatori riuscirono a ricostruire le origine dell’inquinamento, censendo scarichi di strutture recettive, stabilimenti balneari, piccole aziende e anche abitazioni private. «La maladepurazione incide solo nella misura del 40-45%. Sono gli scarichi privati il vero problema. Troppe illegalità e poca vigilanza. Dalle attività zootecniche, alle piccole imprese commerciali, c’è chi si è messo un tubo, chi un canale. Nessuno usa sistemi di smaltimentio dei reflui, siano essi fognari che di lavorazione. Tutto finisce in mare. E tra le illegalità diffuse inserisco pure il non collettamento di quartieri delle città e dei paesi calabresi. Anche quelle sono collettività. I sindaci devono capire che quella è una priorità.
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