Ilir Pere. Tutti pensavano che il “greco” fosse albanese quando il 27 ottobre del 2016 segò le sbarre della cella del penitenziario di Rebibbia dove si trovava recluso insieme con due “amici” davvero provenienti dal Paese delle aquile. Fuggì via come un novello “Papillon” dal carcere della Capitale facendo perdere le proprie tracce per sette anni. Sette anni vissuti pericolosamente in giro per l’Europa: Germania, Albania, Serbia, Olanda, Belgio, Montenegro con un solo obiettivo: fare soldi. Come? Vendendo armi e cocaina agli “amici” calabresi bisognosi di rifornirsi di cocaina attraverso i canali sudamericani per piazzarla sia nella loro terra d’origine che nella ricca Francoforte sul Meno.
I calabresi agli occhi dell’evaso Nikolaos Liarakos (questo il vero nome), entrato in rapporti di affari con i commercianti di armi dell’est europeo, erano affidabili e silenziosi. Pagavano subito e bene: il punto d’incontro con loro, nella patria del Bundestag, era il ristorante “Da Dino”. Se occorreva vedersi o spedire un “corriere” per recapitare della coca di prima qualità, l’esercizio pubblico garantiva massima discrezione. Già, perchè a gestirlo era Rosario Fuoco, originario di Campana, da tempo emigrato in terra germanica e personaggio di fiducia della cosca dei Forastefano-Abbruzzese.
Pasquale Forastefano e Liarakos comunicano attraverso una piattaforma internazionale di messaggeria criptata: la “Sky-ecc” con sede in Canada. I malavitosi di tutto il pianeta la ritengono impermeabile a qualsiasi tipo d’intercettazione. E si sbagliano. Perché sia le agenzie investigative statunitensi (Dea e Fbi) che quelle europee sono riuscite a violare il network, tanto che nel 2021 l’Europol, grazie ai dati acquisiti, ha prodotto una straordinaria operazione antidroga sui scala planetaria.
Liarkos propone a Pasquale Forastefano e Fiorello Abbruzzese, leader dell’associazione mafiosa attiva nel Cassanese, l’acquisto di armi micidiali. Le elenca: ci sono kalashnikov dotati di silenziatore, mitragliette, pistola Glock, giubbotti antiproiettile e persino capellini con la scritta “Police”. Il “greco” manda persino le foto degli strumenti offensivi. Le immagini ed i relativi messaggi sono stati acquisiti dal procuratore Gratteri, dall’aggiunto Capomolla e dal pm Paparazzo e allegati agli atti d’inchiesta.
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