Il destino della sanità in Calabria è rimasto incompiuto per tredici lunghi anni dentro ospedali che sono diventati alternative senza uscita per quei pochi medici sopravvissuti alla politica dei tagli. “Camici bianchi” ovunque vinti dalla fatica e dalla disperazione dopo due anni di assedio del Covid, un martello infuocato che ha spinto le patologie ordinarie in fondo alla fila. E, adesso, la via del recupero è un’arrampicata in salita in mezzo alle dune di un sistema salute che non permette allunghi.
La politica dei piani di rientro, con i posti letto, ha ridotto il personale secondo l’equazione del risparmio obbligato. Un algoritmo, non dimostrato, a giudicare dalle falle che si sono spalancate negli organici del servizio sanitario regionale. Manca personale in corsia, negli ambulatori, sulle ambulanze, nella continuità assistenziale (guardie mediche), nella medicina di base. Certo, i concorsi vengono banditi dopo una fitta ragnatela di controlli e di verifiche che la burocrazia impone. Ma, alla fine, dopo aver inutilmente sperato di arruolare forze fresche in corsia, s’incassa il rifiuto del vincitore che, nel frattempo, ha trovato una più rapida e più comoda collocazione al Nord e, magari, nel privato. Qualche settimana fa, il presidente del Consiglio comunale di Cosenza, Giuseppe Mazzuca, denunciò: «All’Asp trascorrono fino a 974 giorni tra la pubblicazione di un bando di selezione del personale e la graduatoria finale». È chiaro che, alla fine, gli unici rinforzi arrivati nei malridotti ospedali calabresi sono quei medici che Roberto Occhiuto ha reclutato a Cuba resistendo con tenacia alle critiche degli ordini professionali e dei sindacati.
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