È certamente uno dei capitoli più delicati dell’indagine “Maestrale Carthago” e, sulla scia di “Rinascita Scott”, conferma la capacità delle ‘ndrine di carpire informazioni «riservatissime» penetrando negli apparati investigativi e giudiziari dello Stato. Nelle carte dell’inchiesta ci sono «numerose conversazioni ambientali – rilevano i magistrati della Dda di Catanzaro – da cui è emerso, in modo inequivocabile, come i soggetti indagati siano in grado di reperire informazioni su indagini in corso o eventuali prossime misure restrittive». Le intercettazioni che secondo i pm antimafia costituiscono «una diretta testimonianza» di una tale capacità di infiltrazione sono diverse e alcune riguardano, in particolare, l’Arma dei carabinieri. Durante l’inchiesta sono stati ricostruiti «stretti rapporti» tra un presunto sodale di una delle ’ndrine vibonesi colpite dalla recente operazione e un sottufficiale in servizio in una zona non certo distante da quella in cui è attiva la cosca. Agli atti ci sono diverse telefonate in cui si parla di un controllo su strada e di una multa che è stata evitata: «Ti è andata bene che hai beccato due miei amici…», dice il carabiniere all’indagato, il quale poi fornisce un’ulteriore conferma raccontandolo a un’altra persona: «Erano amici di un carabiniere amico mio...». Se l’oggetto di questa conversazione può apparire banale – ma non lo è il “canale” tra i due – lo stesso non si può dire rispetto a ciò che alcuni indagati di un’altra ‘ndrina si confidavano sul conto di un altro sottufficiale in servizio sul “loro” territorio. Il presunto capo ’ndrina parlava con altre due persone di una perquisizione appena effettuata e di cui risultava essersi occupato anche il sottufficiale in questione. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria