Da Montebello Jonico alla Bocconi di Milano. Il rettore Billari: "Il mio cuore è in Calabria"
Una persona semplice e riservata, un uomo di elevata cultura e con esperienze di ricerca internazionale. Il Rettore dell’Università Bocconi, Francesco Billari, è nato a Milano, ma è un figlio del Sud: il padre è emigrato partendo dal comune di Montebello Jonico, precisamente dalla frazione di Fossato, nel Reggino. «È vero – afferma – sono figlio di emigrati e non sempre è stato facile. Mio padre è calabrese, mia mamma siciliana. Siamo vissuti nel centro di Milano e per me è stato un privilegio, in quanto ho avuto la possibilità di crescere in un ambiente sereno, ricco di arte e di cultura. Sin da piccolo ho riconosciuto, così come riconosco oggi, le mie origini calabresi e siciliane di cui sono profondamente orgoglioso». Torniamo indietro nel tempo, alla figura e alla storia di suo padre che parte da Fossato in cerca di fortuna. Erano tempi duri, vero? «Sì, proprio così. Mio padre, Antonino Giovanni, è partito dalla Calabria nel 1951. Era apprendista sarto e aveva l’ambizione di vivere al centro di Milano. Quella era l’epoca delle partenze, purtroppo: alcuni suoi fratelli sono emigrati in Francia e alcuni amici in altri Paesi. A Milano, mio padre ha aperto una sartoria. Per lui realizzare vestiti era una forma d’arte. Questo suo amore per il mondo artistico lo ha spinto a trasformare il suo laboratorio sartoriale in un vero e proprio luogo di ritrovo per gli artisti». Dove si trovava? «Nel quartiere di Brera, il quartiere dell’arte per eccellenza a Milano. La galleria si chiamava “Ciovasso” così come il nome della via. Quell’angolo di mondo che mio padre aveva costruito con molti sacrifici, era diventato il punto di riferimento di pittori. La sartoria si era piacevolmente “trasformata” in una galleria d’arte dove hanno esposto anche personaggi di grande fama». E sua madre? «Mia mamma Vera è arrivata a Milano da Agrigento nel 1960. Ha conosciuto tardi mio padre e si sono sposati quando erano già maturi. Per me sia la figura materna che quella paterna hanno avuto ed hanno un grande significato. Mia madre lavorava a tempo pieno e poi aiutava papà anche nella gestione della galleria». Che ricordi ha della Calabria e nello specifico di Fossato? «Sento ancora il profumo dell’origano che andavamo a raccogliere il 15 agosto, così come quello del finocchietto selvatico. Per non parlare del panorama di Pentedattilo che mi dava il benvenuto d’estate. Questa immagine già mi faceva sentire a casa, così come la vista del mare, a Saline o a Riace, subito dopo Capo d’Armi». Di tutto questo, volendo sintetizzare in dialetto calabrese, cosa l’emoziona di più? «“U jiauru du rriunu e du finocchiu”, (l’odore dell’origano e del finocchietto) ma non solo ovviamente. Prima di tutto, quando penso alla Calabria, penso a mia nonna Antonina. Purtroppo, non ho conosciuto nonno Francesco di cui porto il nome». Che rapporto ha con la “sua” regione? «Sento la Calabria come mia, anche se sono nato a Milano. È la terra delle mie radici e sono orgoglioso di questo. Quando ero bambino tutte le estati andavo in vacanza in questo magnifico luogo con i miei genitori. Erano gli anni Settanta e Ottanta e l’immagine che mi porto dentro, con grande emozione, sono le mani di mia nonna pronte sempre a coccolarmi. La nostra era una grande famiglia e nei mesi estivi ci ritrovavamo tutti insieme dentro questa bella abitazione: mia nonna simboleggiava il ritorno a casa, anzi la famiglia». Ci sono altre immagini, a cui è legato, che parlano della Calabria? «Sì, sono molto legato alle rocce che si incontrano lungo la provinciale che porta a Fossato, nel tratto Masella-Montebello. Sembrano delle sentinelle ed hanno una struttura simile a quelle di Pentedattilo. Sono legato anche alle piante che attraverso il loro verde sfumano l’azzurro del mare così come i maestosi ulivi presenti fin dentro l’abitato di Fossato i quali, con i loro grossi tronchi, indicano una antica presenza. Tutto per me è un incanto così come l’area Grecanica con i suoi borghi ricchi di storia e di grande bellezza. E poi? Dopo l’estate? «Purtroppo si partiva e si aspettava quella dell’anno successivo per ritornare a stare tutti insieme. Intanto si continuava a studiare ed a crescere. Rimanevano i pomodori secchi e il capicollo, in particolare». E si ritornava sui banchi di scuola? «Esattamente. Io frequentavo le scuole che si trovavano più o meno al centro di Milano. Avevano una composizione sociale eterogenea… Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta vi erano ancora alcuni docenti e compagni che irridevano le origini meridionali». Le pesava questo? «Inizialmente sì, e penso che questo mi abbia dato poi una maggiore sensibilità sui temi dell’inclusione sociale e della multiculturalità. Poi ho iniziato a leggere, a informarmi». La scuola. Che rapporto ha avuto ed ha con lo studio? «Mi piaceva e mi piace studiare. Dopo le medie ho frequentato il Liceo Scientifico. Poi mi sono iscritto alla Bocconi in Economia Politica, specializzandomi in Statistica. Avevo tre interessi fondamentali: la geografia, i numeri e le persone. In altre parole, la demografia: tutto questo mi affascinava e non poco! Lo studio mi ha aperto un mondo. L’Università mi ha cambiato la vita e subito dopo la laurea, durante il servizio civile, ho vinto un Dottorato di Ricerca a Padova. Successivamente, sono andato in Germania per perfezionare gli studi iniziando a dirigere un gruppo di ricerca. Sono poi tornato in Italia proprio alla Bocconi da professore». Il suo sogno qual era? «Inizialmente, quando mi sono iscritto all’Università, sognavo di diventare un economista per le istituzioni internazionali». E poi? «Ho iniziato la carriera universitaria. Insegnare mi piaceva e mi piace molto. Ricercare altrettanto, però mai avrei pensato di diventare Rettore dell’Università che mi ha visto studente». Come è iniziata la sua carriera accademica? «Sono emigrato anche io! Questa volta per motivi di studio, in una situazione non spinta dalla necessità, ma dal desiderio di aprire nuovi orizzonti. Nel 2002 sono diventato professore universitario e associato prima dei 32 anni e nel 2005 ho vinto il concorso di ordinario. Poi sono partito alla volta di Oxford, dove sono stato chiamato a dirigere il Dipartimento di Sociologia. Alla Bocconi sono tornato nel 2017, chiamato come Prorettore. A novembre del 2022 sono stato nominato Rettore». Il suo percorso di studio e di ricerca l’ha portata a diventare il Rettore di una prestigiosa Università internazionale. Cosa ha provato quando è stato chiamato in questo ruolo? «Una fortissima emozione. La Bocconi mi ha cambiato la vita ed è un grande privilegio essere chiamato a guidarla. La stima di colleghi, verso i quali nutro grande ammirazione, mi ha dato anche una enorme carica». Cosa prevede la “giornata tipo” da Rettore? «Incontri con alunni Bocconi, con aziende partner, rappresentanti degli studenti, colleghi docenti. Quasi sempre la partecipazione ad un evento, aprendo una conferenza o rappresentando la Bocconi». Prima di trasferirsi per un po’ oltreoceano, gli Stati Uniti erano un po’ estranei alla sua vita? «Ho passato un anno sabbatico con tutta la famiglia a Philadelphia, dove è nata la nostra ultima figlia. In questo periodo, con i miei genitori, siamo stati a Ellis Island, a New York, nel luogo in cui sbarcavano le navi italiane. Mio nonno paterno era emigrato nei primi del ‘900 giungendo proprio qui. Nei registri, con grande emozione, ho letto il suo nome “Francesco Billari”, partito dalla stessa terra da cui è emigrato mio padre. Sul registro c’era scritto: “razza italiana, del sud, origine Calabria”». È stato emozionante? «Tanto. Mio padre, giustamente, piangeva e io non posso nascondere che mi sono sentito stringere il cuore pensando a tutta la mia storia e ai tanti sacrifici sostenuti dalla mia famiglia. In quel registro c’era scritto il mio nome: “Francesco Billari”. Non ero io, certo, ma lì c’era una parte di me. E le lacrime di mio padre diventavano anche le mie». Ha detto che mentre osservava il registro pensava alla sua storia. In che senso? «Mio nonno, dopo diversi anni di lavoro in America, è ritornato in Calabria. Poi è emigrato in Francia e successivamente è ritornato nella sua terra. Se non fosse rientrato, io non sarei nato! Mio padre non ci sarebbe mai stato e non avrebbe incontrato mia mamma! Ecco perché ho detto che “pensavo alla mia storia”». Cosa dice ai giovani e cosa pensa della meritocrazia? «Se penso alla meritocrazia posso dire di averla vissuta in prima persona. Sono andato avanti da emerito “sconosciuto” senza nessuna raccomandazione. Ai giovani dico che devono fare i giovani, ma soprattutto essere innamorati della vita. Solo così potranno contribuire a cambiare il mondo, partendo sempre da ciò che vive intorno a loro. A volte noi adulti li freniamo, mentre andrebbero solo incoraggiati a volare alto rimanendo, però, con i piedi per terra».