Calabria

Lunedì 23 Dicembre 2024

Inchiesta Olimpo, i contrasti tra clan vibonesi e la pace imposta da “zio” Luigi

La nuova procura di Catanzaro

Le indagini degli ultimi anni hanno documentato come il “supremo” Luigi Mancuso abbia attuato una strategia di pacificazione tra le cosche vibonesi. L’ultima inchiesta Olimpo conferma lo scenario ma fa emergere anche diversi contrasti tra le varie famiglie della “Costa degli dei” e del Monte Poro. È successo, per esempio, sulla presunta estorsione a una ditta impegnata nei lavori di ristrutturazione esterna dell’ospedale di Tropea, quando due Mancuso (Antonio e Domenico, figli di Peppe “‘Mbrogghia”, boss di recente tornato in libertà) avrebbero incassato il “pizzo” suscitando il disappunto dei La Rosa che, sentendosi tagliati fuori e dialogando con esponenti di altre famiglie interessate (Lo Bianco e Barba), meditavano danneggiamenti al cantiere per farsi vedere riconosciuta la loro “quota parte”. Un’altra vicenda emblematica è quella del conflitto insorto tra “Peppone” Accorinti, ritenuto il boss del Poro, e Mimmo Polito, in carcere con le accuse di estorsione, detenzione e porto d’armi aggravati. La questione era nata dall’interesse su un terreno conteso ed era evidentemente così delicata che i La Rosa, parlandone tra di loro, paventavano il rischio che ci «scappa(sse) il morto». Ad acuire i contrasti era stato infatti un episodio ritenuto grave: un certo «Totò», che in seguito gli inquirenti indicano come Antonio Prenesti (non coinvolto in questa indagine ma ritenuto «storico fiduciario» di Luigi Mancuso), sarebbe andato alle tre di notte sotto casa di Francesco Barbieri (in carcere per estorsione), ritenuto il «capo ‘ndrina di Cessaniti» e vicino a Peppone, gridando: «Scendi qua che ti ammazzo. Vi faccio saltare a tutti in aria!». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria

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