Si aspettavano risposte e invece il sopralluogo effettuato martedì nella casa dell’orrore ha sollevato nuovi e se possibile ancor più inquietanti interrogativi. A metterli nero su bianco è stato l’avvocato Francesco Gigliotti che assiste i familiari di Rita Mazzei la madre dei tre ragazzi deceduti nel rogo di venerdì notte nella casa popolare di via Caduti XVI marzo 1978. Dopo le tre ore passate a ispezionare l’appartamento della famiglia Corasoniti assieme ai periti di parte, agli esperti della scientifica dei carabinieri, ai vigili del fuoco del Nia e al medico legale nominato dalla Procura Giulio Di Mizio, il legale ha presentato una nuova istanza alla Procura della Repubblica che coordina le indagini per omicidio e disastro colposo. Nel documento sono elencati una serie di elementi che gettano una luce ancor più cupa e sinistra sull’accaduto. Il sopralluogo nella casa sembra aver confermato un particolare che era trapelato nelle ore successive al dramma. La porta blindata di casa Corasoniti era chiusa con le mandate eppure, stando a quanto scrive l’avvocato, la chiave non è stata rinvenuta. Così come non sarebbero state trovate le chiavi delle porte interne dell’appartamento. Ma non sono gli unici tasselli mancanti. L’avvocato infatti invita la Procura a ricercare i telefoni cellulari di tutta la famiglia Corasoniti. E aggiunge una ulteriore richiesta: acquisire i tabulati di Vittorio Corasoniti e della moglie. Il documento dell’avvocato Gigliotti si chiude con un’ulteriore richiesta: «La verifica tramite luminol e/o altri composti chimici e/o luci forensi e/o altre tecniche specifiche, sull'intera superficie e pareti dell'appartamento, al fine di accertare l'eventuale presenza di sostanze organiche significative ai fini delle dinamiche familiari precedenti o concorrenti al divampare dell'incendio».
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