Un rapporto «estremamente vantaggioso» tra costi e benefici. È questo, in estrema sintesi, uno dei motivi principali per cui le mafie, e la ’ndrangheta in particolare, continuano ad avere forte interesse per il business dei rifiuti. Lo riporta nero su bianco la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia riferita alla seconda metà del 2021 e pubblicata proprio nei giorni scorsi. E lo confermano le recentissime operazioni che la Dda di Catanzaro ha condotto a Crotone e a Vibo Valentia.
L’economia criminale delle ’ndrine, sia in Calabria che in altre regioni d’Italia, segue un doppio binario, due direzioni parallele considerate entrambe molto remunerative: da un lato le cosche puntano sui traffici e sullo smaltimento illecito di rifiuti – spesso pericolosi – con metodi che non guardano certo alla salvaguardia ambientale, dall’altro si infiltrano negli appalti per la gestione della nettezza urbana riuscendo in qualche modo ad accaparrarsi corposi flussi di fondi pubblici.
Sono «elevati», riporta il dossier della Dia, i risultati che i clan riescono a ottenere «in termini di profittabilità finanziaria a fronte di un impianto sanzionatorio che produce limitati effetti deterrenti». L’illecito trattamento dei rifiuti si concretizzerebbe «in ogni fase del ciclo dalla produzione allo stoccaggio e dal trasporto allo smaltimento».
Il modus operandi, sia delle cosche che di «singoli imprenditori senza scrupoli», consisterebbe innanzitutto nella realizzazione di false dichiarazioni delle aziende sul tipo e sulla quantità del rifiuto da smaltire. I rifiuti verrebbero poi trasportati «in località nazionali o estere con il fine di far perdere le tracce del carico».
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