Un inquietante scenario internazionale. Nicola Gratteri vive sotto scorta da ormai trent’anni: un tempo lunghissimo caratterizzato da minacce, progetti d’attentato svelati dalle intercettazioni dei colloqui tra boss e picciotti e dalle rivelazioni di collaboratori di giustizia. Il procuratore distrettuale di Catanzaro è giudicato dagli ‘ndranghetisti un irriducibile nemico, un magistrato irraggiungibile che li ha sempre lottati in tutti i loro tradizionali campi d’azione: il narcotraffico, il racket, i legami con la politica, la gestione di appalti e subappalti.
Mai prima d’ora, tuttavia, l’allarme per una possibile azione offensiva nei suoi confronti era stato così alto. La ragione? L’allarme giunge da agenzie investigative straniere - statunitensi e sudamericane - che hanno ritenuto d’informare tempestivamente il nostro governo di quanto stava delineandosi dall’altra parte del mondo. Nessuno ha esatta contezza di cosa gli investigatori americani abbiano scoperto - il riserbo è assoluto - ma può deduttivamente immaginarsi che il progetto d’eliminazione del procuratore Gratteri coinvolga pure strutture criminali estere.
È probabile, infatti, che trattandosi di un personaggio tanto importante, conosciuto ed esposto, la decisione di attentare alla sua vita dovesse ricevere il “concerto” anche di “soci” e “compari” della ‘ndrangheta collocati dall’altra parte dell’Atlantico. Le conseguenze di un’azione omicida contro un magistrato con contatti professionali di altissimo livello negli Stati Uniti, in Canada, in Colombia, in Perù, Bolivia così come in Australia, Germania, Belgio, Olanda, Spagna possono infatti rivelarsi per le mafie devastanti dal punto di vista repressivo e investigativo. È per questo che la decisione di ucciderlo deve essere preventivamente “condivisa” se non proprio “autorizzata”.
Dunque può supporsi che le agenzie investigative statunitensi e sudamericane abbiano rilevato - in occasioni e circostanze diverse - questi “movimenti” e ascoltato conversazioni subito doverosamente segnalati alle autorità italiane. L’attentato doveva essere compiuto lungo il tratto di strada che il togato compie da Gerace per raggiungere Catanzaro. Le note di allarme sarebbero arrivate prima delle questioni riferibili alla nomina del nuovo procuratore nazionale antimafia e della relativa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura. La riservatezza che ha accompagnato tutta la vicenda ne conferma il livello di gravità.
Da alcune settimane Nicola Gratteri gira con una jeep blindata dotata di sistema di rilevamento a distanza di ordigni esplosivi, accompagnato dagli “specialisti” del Nocs, reparto di elite della Polizia di Stato. Con il magistrato sono finiti sotto scorta pure moglie e figli. Il procuratore non ha inteso rilasciare dichiarazioni, limitandosi a dire che l’esistenza di un piano per farlo fuori «non è una novità». Lui, d’altronde, la morte la guarda in faccia da tre decenni. Non è facile vivere così, bisogna avere una tempra eccezionale.
L’altro giorno commentando l’omicidio del più famoso procuratore del Paraguay, Marcelo Pecci, specializzato nella lotta al narcotraffico, che è stato ammazzato sulla spiaggia di un’isola colombiana dov’era andato in viaggio di nozze con la moglie incinta, ha detto: «Nel periodo in cui ero ogni mese e mezzo in Colombia, una volta hanno ucciso sette magistrati. Poi hanno costruito un muro spesso un metro e mezzo come recinto al tribunale di Bogotà e fuori dalla porta dei procuratori oggi non c’è nemmeno il loro nome ma un numero. Gli interrogatori, invece, vengono fatti attraverso uno specchio da cui si vede solo da un lato e viene cambiato pure il timbro di voce del magistrato che lo conduce. Magistrato che poi non firma neppure gli atti. Ero di casa a Cartagena, a Bogotà e Santa Marta, so del pericolo e dei rischi che corrono questi grandi magistrati che fanno un lavoro straordinario e mettono a repentaglio la loro vita ogni giorno per pochi soldi».
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