«Ci hanno pagato solo cinque giorni di gennaio e questo per alcuni di noi ha significato ricevere venti euro di salario: un’elemosina». Rosario Villirillo, rende in maniera efficace l’idea di cosa voglia dire essere precari in un’azienda che si dibatte in una crisi finanziaria che l’ha portata allo stato di insolvenza. Rosario, trent’anni e un matrimonio in programma da qui a qualche mese, è uno dei cosiddetti “Lap” della Abramo Customer Care, l’azienda con sede a Roma e testa a Catanzaro, affidata dal Tribunale capitolino a una terna di commissari. L’acronimo di “Lap” sta per Lavoratori a progetto. L’ennesima espressione eufemistica che si traduce in quella tanta decantata flessibilità che ha precarizzato ancor di più il mercato del lavoro. Almeno centoquaranta sono i “Lap” in forza al sito di Crotone della Abramo Customer Care. Molti dei quali sono scesi a protestare per mettere in evidenza che la loro situazione è ancora di più disperata, rispetto alla già grave situazione di incertezza che stanno vivendo i dipendenti assunti a tempo indeterminato dalla Holding della famiglia Abramo, messa sotto custodia dai giudici romani. «Rischiamo di restare senza lavoro e non abbiamo neanche i paracadute degli ammortizzatori sociali», lamenta Rosario che tra l’altro lo scorso settembre, in vista del matrimonio, ha anche sottoscritto un mutuo per l’acquisto della casa. Per i precari del comparto c’è solo il cosiddetto “Dis-call”: un sostegno che dura sei mesi ma in base ai contributi che ti sono stati versati. Per cui può capitare, il più delle volte, che il cosiddetto “Dis-call”, sia davvero una “miseria”. Da qui la paura per il futuro prossimo che accomuna precari giovani e meno giovani che affollano in questa mattina di fine febbraio il piazzale della ex Datel, a una manciata di metri dalla stazione ferroviaria. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria