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Cosenza, omicidio Mirabile: il viaggio tra "processi aggiustati" e soldi mandati ai pentiti

Due pentiti parlano di presunti tentativi di “aggiustamento” del processo attraverso l’avvocato Giancarlo Pittelli, circostanza confermata dal boss pentito di Corigliano Rossano, Nicola Acri, che svela pure un altro aspetto sconosciuto della storia.

L'ex boss Nicola Acri

Il boss e il pentito. Mario Mirabile, “reggente” del locale di ‘ndrangheta di Sibari, venne assassinato il 31 agosto del 1990 a Corigliano. Un commando di sicari guidato dall’implacabile killer di Cariati, Antonio Cicciù, lo riempì di piombo mentre alla guida della sua Bmw era fermo a un semaforo. “Don Mario” deteneva il bastone di comando al posto del cognato, Giuseppe Cirillo, costretto a rimanere lontano dalla sua “signoria” mafiosa da un provvedimento giudiziario.

Mirabile era un duro, cresciuto senza dubbi e paure nella Campania attraversata, nel decennio precedente, dalla furia cutoliana. Il suo talento criminale l’aveva fatto diventare, nei primi anni 80, referente a Salerno proprio della Nuova camorra organizzata fondata e guidata dal “professore” di Ottaviano: Raffaele Cutolo.

In Calabria, nel 1990, era tornato per tenere unito il gruppo criminale messo in piedi dal cognato, che controllava tutta la fascia ionica della provincia di Cosenza. Cirillo e Mirabile s’erano resi conto che Santo Carelli, aspirante capobastone di Corigliano forte dell’appoggio di altri potenti padrini del Cosentino e del Crotonese, voleva spazzarli via. Nel “locale” di ‘ndrangheta serpeggiava, insomma, una rivolta. E se Cirillo era stato messo fuori gioco dalla magistratura, Mirabile presidiava invece col pugno di ferro il territorio.

Decretarne la morte, visto il peso delinquenziale accumulato negli anni, non era affare da poco. Fu per questo che il suo assassinio fu deciso dai maggiorenti delle cosche locali e crotonesi.

A raccontare i retroscena è proprio Cicciù che decide di collaborare con la giustizia. La Dda di Catanzaro con l’inchiesta “Galassia” contesta nel ‘ 95 la responsabilità del delitto non solo allo scalpitante Carelli ma pure ai suoi segreti “sostenitori”: i fratelli Giuseppe e Silvio Farao ed a Cataldo Marincola, divenuti incontrastati “mammasantissima” del Cirotano dopo la eliminazione dello storico padrino Nick Aloe.

I tre cirotani, in primo grado, nel 1999, vengono condannati all’ergastolo; due anni dopo l’Assise di appello di Catanzaro si dichiara incompetente e rispedisce gli atti a Cosenza dove, nel 2003, vengono ricondannati; nel 2005 in appello, sempre a Catanzaro, vengono invece assolti ma il verdetto viene annullato dalla Cassazione che dispone un nuovo giudizio di secondo grado e finiscono ricondannati (i Farao all’ergastolo e Marincola a 30 anni). Il verdetto viene confermato in Cassazione nel 2009.

I pentiti Domenico Critelli di Cariati e Francesco Farao (figlio di Giuseppe) parlano di presunti tentativi di “aggiustamento” del processo attraverso l’avvocato Giancarlo Pittelli e la circostanza viene pure confermata dal boss pentito di Corigliano Rossano, Nicola Acri, detto “occhi di ghiaccio”. Quest’ultimo, però, svela pure un altro aspetto sconosciuto della storia.

Asserisce, infatti, di aver offerto, su mandato di Cataldo Marincola, al collaboratore di giustizia, Pasquale Tripodoro, 6000 euro per cambiare alcuni particolari nel racconto fatto sul delitto Mirabile. Acri sostiene di aver consegnato i soldi al fratello del collaboratore e precisa, però, che poi il processo andò male tanto che Marincola avrebbe voluto “punire” il germano di Tripodoro che aveva fatto da mediatore. La punizione non è mai avvenuta.

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