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Settemila euro per le carte false. Così blindavano i carichi di coca a Gioia Tauro

I racconti del broker sui traffici dei Molè

«L’altra volta ci sono stati problemi… per il fatto… il documento non c’era». La regola dei narcos è chiara: il carico di coca, anche se sequestrato dalle forze dell’ordine, si paga. Vale per tutti, con un’eccezione: i calabresi. Per loro, leader del narcotraffico a livello mondiale, capaci di trattare in posizione di forza con i produttori sudamericani, ci sono condizioni di favore: in caso di sequestro è previsto il “bonus” di un altro carico dello stesso valore, a patto che l’intervento delle forze dell’ordine sia certificato da documenti ufficiali. Può capitare, quindi, che se la carta non c’è rischi di scapparci il morto: «C’è stato un problema grave. Non hanno ammazzato nessuno, ma quasi. C’è mancato poco… per un documento». A ricostruire il mosaico è la Dda di Firenze, che insieme alle Procure antimafia di Reggio Calabria e Milano ha lavorato a uno dei tre filoni della maxinchiesta “Nuova Narcos Europea” sfociata martedì scorso in oltre cento misure cautelari in mezz’Italia. Decisive, per chiarire il quadro, sono le intercettazioni di Emanuele Fonti, il broker di origini messinesi che avrebbe lavorato per committenti legati sia alle cosche di Guardavalle (Cz) che ai Pesce, ai Bellocco ed Molè radicati nella Piana di Gioia.

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