Calabria

Sabato 23 Novembre 2024

Molè-Mancuso, affari e sangue tra Gioia e Vibo

Il luogo dell’agguato a Domenico Campisi sulla Sp tra Nicotera e Vibo a Giugno 2011

Affari e sangue, legami di convenienza e di parentela. Tra i Molè di Gioia Tauro e i Mancuso di Limbadi ci sono rapporti stretti, insieme ai Piromalli erano alleati: lo racconta la storia criminale e lo conferma l’inchiesta “Nuova Narcos Europea”. Rocco Molè è il rampollo della storica famiglia gioiese. A 26 anni è a tutti gli effetti un boss, ha rinunciato al percorso di affrancamento disegnato dal programma “Liberi si scegliere” e, secondo gli inquirenti, tiene in mano giri milionari tra coca ed estorsioni. «Afferma il controllo egemonico sul territorio, realizzato attraverso accordi ed alleanze con altre storiche organizzazioni ’ndranghetiste tra le quali i Pesce di Rosarno e i Mancuso di Limbadi», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. E tra le oltre 700 pagine del provvedimento c’è spazio per la ricostruzione del tentato omicidio di Domenico Signoretta, ritenuto l’armiere del boss Pantaleone Mancuso, alias “l’ingegnere". Ebbene, secondo la Dda di Reggio Rocco Molè avrebbe fornito «sostegno incondizionato» ad Antonio Campisi («soggetto organico alla potente cosca Mancuso di Limbadi» e imparentato per linea materna con esponenti del clan) partecipando alle fasi di preparazione del tentato omicidio di Signoretta, «organizzato da Campisi quale vendetta per l'omicidio del padre Domenico», che era anche legato da un rapporto di comparato con Girolamo Molè cl. '61, padre di Rocco.

Il delitto nel giugno del 2011 a Nicotera

Clamoroso fu il delitto di giugno del 2011 a Nicotera, altrettanto la presunta risposta fallita a maggio del 2019, entrambi a tutt’oggi impuniti. Secondo il racconto del collaboratore di giustizia di Gioia Tauro Lino Furfaro (ex affiliato al clan Molè ), che ha diviso con Signoretta un appartamento a Roma, avrebbero messo a segno il raid contro Campisi proprio Signoretta e Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone. A sua volta Antonio Campisi avrebbe organizzato l’agguato a Signoretta, miracolosamente scampato a una “tempesta” di almeno 30 colpi d’arma da fuoco. Il sostegno fornito da Rocco Molè a Campisi «costituisce – annota la Procura antimafia reggina – un indice inequivoco della persistente autorevolezza che ha mantenuto nel tempo la cosca Molè, nonostante gli arresti, le condanne e gli omicidi subiti, al punto da essere coinvolta in una azione omicidiaria da soggetti legati alla potente cosca Mancuso». In concreto, il giovane boss della Piana avrebbe effettuato un sopralluogo propedeutico al tentato omicidio. «Devo andare con Totò...» dice, intercettato qualche giorno prima, il rampollo dei Molè.

Il colpo fallito a Signoretta nel 2019

Il 16 maggio 2019, secondo gli inquirenti, Molè partiva da Gioia Tauro insieme a Campisi alla volta di Nao di Ionadi (VV). «Dai dialoghi intercettati si aveva contezza che i due si erano recati in quel centro per effettuare una sorta di sopralluogo, dapprima in prossimità dell’abitazione di Signoretta e poi presso un vicino acquedotto, dove poi verrà individuata la Fiat Uno (rubata a Riace, ndr) incendiata con all'interno le armi impiegate». Sul posto, Rocco fa considerazioni operative sull’abitazione del “bersaglio”: «Sì. Qui di da dietro si può andare pure… Ha tanti piani…». Il giorno del tentato omicidio Molè avrebbe messo in scena un depistaggio; telefono spento, a casa. E prima di uscire messaggio alla fidanzata: «Dormo, vita!». Invece si sarebbe recato alla fattoria del nonno, a Sovereto, secondo gli inquirenti per incontrare altre persone coinvolte nel progetto. Una conferma del movente starebbe in quanto captato il 30 luglio 2019 in occasione di un’udienza a Bologna: dopo aver parlato con il difensore di fiducia del suocero, Campisi – rivolgendosi a un interlocutore – si esprimeva con chiarezza: «Guarda a mani di chi è morto mio padre… se sapessi questo qua dov’è…». “Questo qua”, per la Dda, era Signoretta. Anche dopo il “colpo” fallito, Molè avrebbe aiutato il compare Campisi cercandogli un rifugio sicuro, a Gioia Tauro. Scartata subito l’idea iniziale di Rosarno («È brutto qua, Totò... pure che la troviamo… subito sanno chi sei! Subito... dieci persone… Pure che non ci sei mai, però ... prima o poi qualcuno ti vede, no?»), la scelta sarebbe ricaduta su una casa in un vicolo di via Torino, a Gioia Tauro. Campisi, molto probabilmente, girava armato. Ed ancora, da una battuta registrata a metà giugno 2019, gli inquirenti deducono che «aveva timore di stare nei luoghi aperti». Troppo alto era il rischio di una vendetta. E a fine giugno 2019, dopo solo alcuni giorni, Campisi si sarebbe allontanato anche da Gioia.  

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