I drive-in attorno alla Regione, i sit-in davanti agli ospedali, le proteste dei singoli per cure non ricevute. E chissà se gli eletti alla Regione conoscono a memoria l’articolo 32 della Costituzione: è quello che parla del diritto per tutti a una buona sanità. Sarebbe necessario che i neo consiglieri regionali lo tenessero sempre bene a mente. In una terra in cui il welfare è garantito soltanto da pochi professionisti di buona volontà, c’è bisogno di un supplemento di abnegazione. La Calabria è ultima in Italia per i Lea, i Livelli essenziali di assistenza, paga oltre 300 milioni all’anno - il dato, in discesa, del 2020, potrebbe essere legato all’emergenza pandemica - per mandare le persone residenti qui a curarsi in altri territori, ha un debito che sfiora i 2 miliardi ma non ancora certificato perché alcune Aziende sanitarie hanno “dimenticato” di approvare i bilanci, mentre altre sono state sciolte per infiltrazioni mafiose. La gente scappa da qui anche per interventi definiti «a bassa complessità», i numeri per gli screening tumorali sono decisamente bassi. E quando qualcuno si è offerto di dare una mano – come successo con Emergency nel pieno della pandemia – nessuno è stato in grado di rispondere. Nemmeno la “cura” immaginata dallo Stato ha prodotto gli effetti sperati. Dodici anni (quattordici considerata la parentesi della Protezione civile) di commissariamento - per trovarne uno, l’ultima volta, si è dovuto aspettare settimane su settimane - non sono serviti a risollevare un settore che fa acqua da tutte le parti. Gran parte del deficit patrimoniale accertato è stato ripianato con un mutuo trentennale del quale la Regione sopporta un rateo annuo plurimilionario. Quanto al “fallimento” dei commissari, basterebbe citare la chiusura di 14 ospedali, la mancanza di reintegrazione del personale dopo il turn over e l’aumento imponente delle tasse per i residenti. Così, il paradosso è completato: i calabresi pagano le imposte più alte d’Italia a fronte della sanità peggiore. L’elenco delle vittime innocenti, purtroppo, è lungo: Federica Monteleone, Eva Ruscio, Flavio Scutellà sono i casi più noti. Altri casi di malasanità hanno irrimediabilmente compromesso la vita di pazienti e dei loro familiari.
I medici scappano
Davanti a uno scenario simile, i camici bianchi vanno via e non sono attratti nemmeno da retribuzioni di tutto rispetto. Chi può, non ci pensa su due volte a prendere la valigia e volare altrove, in strutture dove è possibile lavorare in condizioni meno disagiate. Perfino i concorsi banditi ed espletati, talvolta, restano un discorso a metà. Capita che i vincitori non si presentino e che i posti disponibili restino scoperti per mesi, così da costringere gli ospedali a procedere al reclutamento di professionisti quasi con il “porta a porta”. In altri casi, invece, le procedure si bloccano ancora prima di entrare nella fase di selezione e valutazione. Il risultato è l’aggravamento della situazione in strutture dove il personale è costretto a turni a massacranti e subissato da richieste di assistenza medica. Il filtro immaginato con le Case della salute non è mai stato applicato per il semplice fatto che tali strutture non hanno mai visto la luce.
Eppure i fondi ci sarebbero: 500 milioni per i tre grandi ospedali (Palmi, Sibaritide, Vibo Valentia), 49 per le Case della Salute, un finanziamento europeo che rischia di andare in fumo. Troppo facile scaricare tutto sulla piaga della ’ndrangheta. Nella storia della sanità calabrese c’è un grumo di inefficienze, politici inadeguati, tangenti e, certo, anche della cappa asfissiante della criminalità.
In attesa della… svolta
Le isole felici non mancano. Non ci sono soltanto decine di medici diventati luminari fuori dai confini regionali, ma anche le storie di chi è rimasto qui in mezzo a tantissime difficoltà. Il nuovo governatore della Regione, Roberto Occhiuto, sostiene di voler mettere la sanità in cima alla scaletta della priorità e perciò chiede che il governo gli affidi il ruolo di commissario. I precedenti - basti ricordare l’esperienza targata Giuseppe Scopelliti - non sono incoraggianti. C’è da augurarsi che il presidente appena eletto sappia rivendicare dal governo centrale tutto ciò che gli spetta in termini di risorse straordinarie per risanare l’enorme deficit patrimoniale e pretendere una buona fetta dei 7 miliardi destinati dal Pnrr al sistema salute. La telemedicina, indispensabile per assicurare la “presenza” nelle periferie più disparate, resta lo strumento principale da utilizzare in una fase delicata qual è quella post-pandemia.
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia