Calabria

Martedì 30 Aprile 2024

La condanna a Mimmo Lucano, il punto dei legali: "Ecco come si è arrivati a 13 anni e 2 mesi"

La sentenza di condanna a 13 anni e 2 mesi disposta dal Tribunale di Locri nei confronti di Mimmo Lucano nel processo “Xenia” ha destato molto scalpore anche nei termini della quantificazione della pena. La Procura di Locri, da parte sua, ha concluso con una richiesta di condanna a complessivi 7 anni e 11 mesi di reclusione. Il Tribunale di piazza Fortugno ha, invece, stabilito una pena più pesante con un aumento rispetto alla prospettazione accusatoria di ben cinque anni. Sul punto i difensori di Lucano, in particolare l’avvocato Andrea Daqua, che assiste l’ex sindaco di Riace insieme a Giuliano Pisapia, e l’avvocato Salvatore Zurzolo, componente del collegio difensivo, hanno ripercorso i tratti tecnici che hanno portato alla pena di Lucano e di altri imputati, molti dei quali, alla stregua dell’ex amministratore, si sono visti quasi raddoppiare gli anni tra richiesta e sentenza. In sintesi la Procura è partita dal reato più grave individuandolo in quello di concussione, quindi ha chiesto la continuazione con gli altri reati per un totale di 7 anni e 11 mesi. Il collegio giudicante ha assolto Lucano dalla contestata concussione, considerando quale reato più grave il peculato (che va da un minimo di 4 anni a un massimo di 10) aumentando la pena per ogni altro singolo reato fino a giungere, per una parte, a 10 anni e 4 mesi di reclusione, tenendo sempre unito il vincolo della continuazione. A questi si devono aggiungere gli altri 2 anni e 10 mesi che si sommano dai restanti 5 capi di imputazione dove il più grave è considerato il reato di abuso d’ufficio (che è compreso tra 1 e 5 anni), anche in questo caso tenendo in considerazione il vincolo della continuazione. La somma finale è 13 anni e 2 mesi. In ogni caso i difensori sottolineano che per comprendere il percorso tecnico-giuridico dei giudici di Locri è necessario leggere le motivazioni della sentenza, per la quale bisogna attendere il termine di 90 giorni. Intanto l’avvocato Andrea Daqua dichiara: «La sentenza è abnorme, non perché ha condannato i nostri assistiti ma perché è in evidentissimo contrasto con le risultanze istruttorie. Chi avrà modo di leggere le trascrizioni noterà che è stata la stessa polizia giudiziaria ad escludere in maniera categorica gli elementi strutturali del reato associativo, dato questo emerso e acquisito dal Tribunale. È stata l’istruttoria dibattimentale ad escludere, per bocca degli stessi testi dell’accusa, qualsiasi forma di interesse e/o arricchimento economico di Lucano e dei nostri assistiti. Per questi motivi attendiamo impazienti il deposito delle motivazioni per impugnare la sentenza che risulta ingiusta ed erronea». L’avvocato Zurzolo, da parte sua, evidenzia: «La condanna per l’associazione è il coperchio senza il quale gli imputati interessati non potevano essere condannati per i reati fine, e senza il riconoscimento dell’asserita associazione sarebbe caduto l’intero impianto accusatorio».

Lucano: "Contestata l'Associazione? Sì col Ministero e con la Prefettura"

Se «parlano di associazione a delinquere» avrebbero dovuto «mettere insieme a me anche il Ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio». Mimmo Lucano vive il day after con la stessa amarezza del giorno della condanna. E ricorda: «Allora mi chiamavano “San Lucano” in Prefettura perché risolvevo i problemi degli sbarchi, a Riace c'era un’organizzazione dell’accoglienza, le associazioni, le coop. Ma alla fine lo Stato mi ripaga dicendo che ho fatto l’associazione. Allora, se ho fatto l’associazione anche loro sono partecipi perché mi chiedevano numeri altissimi per un piccolo borgo. Io dicevo sì per la mia missione». Il dispiacere è tanto, come Lucano stesso conferma: «Mi resta di avere, per anni, inseguito un’ideale e di aver fatto delle cose che mi davano una fortissima gratificazione, essere di aiuto a tantissime persone arrivate a Riace in fuga dalle guerre, dalla povertà. Nel mio immaginario era come dare un aiuto al mondo». In tanti, ieri, si sono avvicinati all’ex sindaco seduto al tavolino di un bar in piazza Municipio, prima della manifestazione in piazza. «Io – dice con un filo di voce – mi aspettavo l’assoluzione. Questa storia è piena di contraddizioni». Il dolore è tanto, soprattutto «per i miei figli», perché «tutta la vita l’ho spesa in un certo modo» aggiunge Lucano. Che non parla apertamente di complotto ma di «qualcosa di strano», chiarendo così il ragionamento: «Sono stato condannato per peculato ma più di una volta la stessa Procura ha detto che “no, questo sindaco non aveva motivazioni economiche sul piano personale, però ha fatto distrazioni”. Ma qua sta l’essenza del “modello Riace”. Con i soldi che in altri luoghi usano solo per la parte di accoglienza, noi facevamo anche integrazione. Non potevo accettare, come sindaco, di un piccolo luogo che l’accoglienza fosse unilaterale e riguardasse solo i rifugiati. Ho pensato che doveva riguardare anche gli abitanti del luogo. Ecco che con gli stessi soldi abbiamo fatto quel di più, abbiamo realizzato il frantoio, la fattoria sociale, le case per il turismo dell’accoglienza». Il ricordo va quindi a Becky Moses, la 26enne nigeriana morta il 27 gennaio 2018 nella baraccopoli di San Ferdinando. «A causa della chiusura del progetto Cas per mancanza di fondi è morta in un rogo – sbotta Lucano –. Nell’elenco delle persone da trasferire, al numero 15, c'era Becky Moses che per due anni ha vissuto a Riace ed era felice. Era venuta a Riace, nel mio ufficio, per chiedere la carta d’identità e gliela ho fatta. E questo non me l’hanno mai contestato anche se le mancava il permesso di soggiorno. Per quella morte spero un giorno ci sia giustizia e che qualcuno si ricordi di lei; qualcuno deve rispondere».

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