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Calabria, sanità senza bilanci: servita la doppia beffa

Da Roma invitano la Calabria a fare come le le altre regioni e a mettere in piedi un piano di risanamento nel prossimo Programma operativo. In realtà ci sarebbe anche un'altra strada da poter percorrere se solo ci fosse certezza dei debiti accumulati.

La bocciatura del piano stralcio del debito sanitario calabrese, sancita inequivocabilmente dai tecnici ministeriali del Tavolo Adduce, ha riportato nuovamente sotto i riflettori il tema dell'enorme passivo di cui è gravato il settore. Da Roma invitano la Calabria a fare come le le altre regioni e a mettere in piedi un piano di risanamento nel prossimo Programma operativo.

In realtà ci sarebbe anche un'altra strada da poter percorrere se solo ci fosse certezza dei debiti accumulati. Già, perché ancora ad oggi è impossibile sapere a quanto ammonta il passivo totale considerato che diversi commissari non sono riusciti a chiudere i bilanci delle Aziende sanitarie ed ospedaliere.

Se il dato, al contrario, venisse certificato, allora si potrebbe fare riferimento alla norma inserita nell'ultima legge di Bilancio che consentirebbe alla Calabria di ripianare i debiti sanitari (quelli certi, liquidi ed esigibili) fino al 31 dicembre 2019 ricevendo un'anticipazione della Cassa depositi e prestiti restituibile in 30 anni e con un tasso di interesse 10 volte inferiore a quello che sta pagando ora la Regione per i propri debiti.

A rendere problematica la situazione sono stati, nel corso di questi anni, soprattutto due fattori: da un lato la mancata predisposizione dei bilanci nelle Asp, dall'altro alcune scelte politiche non propriamente convenienti per le casse della Cittadella. Il riferimento è alla sottoscrizione da parte della Regione - nel 2011 con il ministero dell'Economia - di un contratto di prestito di 428 milioni per la copertura del disavanzo sanitario. In base a quell'accordo, la Regione obbligata a restituire la somma ricevuta entro e non oltre il 2040, mediante rate annuali di oltre 30 milioni per oltre 30 anni, con l’applicazione di un tasso d’interesse pari al 5,65%. Non proprio le condizioni economiche ideali.

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