Davanti alla Corte d’appello di Bologna aveva annunciato che non avrebbe fatto ricorso in Cassazione in caso di condanna ed aveva anche preso le distanze dalla ‘ndrina della quale aveva fatto parte chiedendo scusa. Ma al contrario di quanto affermato adesso il 50enne Gianluigi Sarcone, originario di Cutro ma residente a Bibbiano, esponente di spicco del ramo emiliano della cosca cutrese collegata ai Grande Aracri, s’è rivolto alla Suprema Corte per impugnare la sentenza dei giudici di secondo grado, che lo scorso 25 gennaio l’hanno condannato a 14 anni e 6 mesi di reclusione per associazione mafiosa, in uno dei rivoli processuali scaturiti dall’inchiesta Aemilia scattata il 28 gennaio 2015. La posizione di Sarcone, fratello di Carmine e Nicolino (quest’ultimo considerato il capo indiscusso del locale di Cutro sulle rive del Po), era stata stralciata dal filone principale dell’appello di Aemilia, conclusosi il 17 dicembre scorso con 91 pene inflitte, in seguito alla ricusazione di un componente del collegio chiesta e ottenuta dall’imputato. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria