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Il "caso" Calabria, dove lo Stato si affida al coraggio delle donne

Declinata al femminile la guida degli Utg: su cinque Prefetture quattro sono “rosa”

Non si sentono prime donne, ma donne. Semplicemente tali. Professioniste, giunte sul gradino più alto della carriera grazie allo studio, all’impegno e ai sacrifici. Porta il volto di quattro donne, di quattro prefette, la faccia della medaglia di una Calabria che continua a stupire e che va per certi versi in controtendenza rispetto al resto del Paese.

Perché in Calabria – che ha anche avuto una governatrice (Jole Santelli) – il patriarcato perde terreno e il matriarcato avanza. Certamente nel caso dei prefetti perché ben quattro delle cinque province calabresi hanno altrettante donne alla guida degli Uffici territoriali del governo. Come dire dal 1993 – anno in cui Anna Maria D’Ascenzo diventava a Grosseto la prima donna prefetto – a oggi di strada ne è stata fatta, anche se risale a sessantuno anni fa (1960) la sentenza attraverso cui la Corte Costituzionale dichiarava illegittima una norma discriminante e sessista che impediva alle donne di intraprendere la carriera prefettizia e diplomatica. All’epoca a innescare la miccia fu Rosa Oliva, ma soltanto 33 anni dopo, appunto, una donna prendeva nelle sue mani le redini di una Prefettura.

Aperte le porte l’avanzata è stata inarrestabile e la Calabria, in questo caso, sembra viaggiare in controtendenza considerato che in Italia attualmente sono 31 i prefetti donna su 109. Circa il 30%, percentuale calata rispetto a qualche anno fa (40%). Nella regione tranne Reggio Calabria dove l’elenco dei prefetti è sempre stato declinato al maschile, a Cosenza, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia le prefette si sono fatte strada.

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