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Calabria, Grande Aracri e l’autista di Dragone promosso boss delle ’ndrine in Sila

Il padrino ora pentito gli risparmiò la vita nell’agguato teso al vecchio capobastone

Il “capo dei capi”. Da Cutro fino a Cosenza, passando per Lamezia Terme, Cirò, Corigliano Rossano, Cassano e San Giovanni in Fiore. Come dire: dal mare alla montagna.
Nicolino Grande Aracri, a parere del boss pentito Giuseppe Giampà, figlio del più noto Francesco detto “il professore”, capobastone storico del Lametino, esercitava la sua nefasta influenza, almeno fino al 2013, sulla quasi totalità dell’area centrosettentrionale della Calabria.

L’ultima parola sulle decisioni più importanti spettava a lui. Chi scatenava guerre, conflitti e “tragedie” capaci di compromettere la buona riuscita degli affari, doveva rendergliene conto. “Manu i gumma” - così lo chiamano negli ambienti della ‘ndrangheta - aveva infatti vinto la guerra nel Crotonese e poi imposto la “pace”.

Tra i territori sotto il suo assoluto dominio c’era la Sila. Un’area ricca d’interessi legati al turismo e alla produzione agricola e pure florido mercato per lo spaccio al dettaglio degli stupefacenti. Tutti sapevano - comprese le cosche confederate di Cosenza, Rende, Paterno e Roggiano - che quello era diventato riserva di caccia di “don Nicolino”.

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